Cronaca

Quando intercettai le bombe a grappolo spedite dall’Italia all’Iraq di Saddam Hussein

Leggo sul Fatto Quotidiano del 2 aprile 2023: “Kiev vuole le bombe Usa a grappolo: l’Italia che fa?”. Io non so cosa farà l’Italia, ma so cosa è successo alla fine degli anni Ottanta, a proposito di bombe a grappolo, le cosiddette cluster bomb. La richiesta di Kiev mi ha catapultato nel 1988, quando condussi due distinte indagini su un traffico internazionale di armi a favore di Saddam Hussein. La prima indagine riguardava carri armati, missili aria-aria, mine, munizionamento, equipaggiamento militare, visori notturni e persino petrolio. La seconda proprio sulle bombe a grappolo. A

Accadde che, una fonte confidenziale mi ragguagliò su un vasto traffico di armi dall’Italia verso l’Iraq e la Libia ad opera di un cittadino iraniano residente a Francoforte e che era in grado di movimentare grosse partite di armi pesanti verso i paesi mediorientali. Mi parlò anche di alcuni miliardi di lire, tre dei quali già negoziati, e di un una partita di uranio posta in vendita a Roma. Nel contesto dei vari appuntamenti, la fonte m’informava che vi era in quel momento un traffico di armi verso il regime di Saddam Hussein.

E a supporto delle sue parole, mi consegnava degli oggetti in metallo, definendoli “pezzi per lavatrice”, ma che il realtà – secondo la fonte – si trattava di una bomba a grappolo: aggiungeva che le ditte italiane produttrici, dei pezzi per lavatrice, non conoscevano l’utilizzo finale. Infatti, poi le indagini escludevano qualsiasi responsabilità penale dei produttori dei pezzi. Giova dire che, apparentemente i pezzi sembravano davvero per lavatrice. Ma la fonte era certa, che si trattava di una bomba e che una volta giunta in Iraq sarebbe stata assemblata e “armata”.

Convocai in ufficio un mio amico, sottufficiale dell’Esercito esperto di bombe ed egli, dapprima incredulo, riusciva dopo qualche minuto ad assemblare i pezzi: era davvero una bomba di quelle usate a grappolo (bandite dal 2010 dall’Onu). A quel punto, ci precipitammo alla Procura di Roma, per depositare sia il rapporto, che il “prototipo” di bomba e chiedere l’autorizzazione per intercettare alcune utenze telefoniche della capitale. Il magistrato Domenico Sica ci informava che anche i carabinieri di Roma stavano conducendo analoghe indagini e quindi unificò le due inchieste, facendo sequestrare dei container pieni di “pezzi per lavatrice” pronti per essere spediti.

Ricordo un aneddoto scherzoso che mi fece il dottor Sica. Sulla sua scrivania aveva un soprammobile credo di ottone e dal quale fuoriusciva una mano. Ad un certo punto mi chiese degli spiccioli, invitandomi a riporli sul palmo di quella mano. Immediatamente, la mano si ritrasse all’interno, per poi riapparire senza le monetine: “Veda, questa è la prova di mani pulite!”.

Concludo per rimarcare che le bombe a grappolo sono davvero micidiali. Sarebbe opportuno e doveroso evitare di produrle per salvare vite umane e, quindi, spero che non si abbassi la guardia per scoprire i trafficanti di “pezzi di lavatrice” o di armi di distruzione di massa.