Cronaca

Fino a 7 ore di attesa: così la sanità veneta abbandona i territori e intasa i pronto soccorso. Che si reggono sui privati. Il report Cgil

Qualche giorno fa l’assessore comunale veneziano Renato Boraso, dopo tre ore di inutile attesa al pronto soccorso dell’ospedale all’Angelo di Mestre assieme al padre ottantenne invalido al 100 per cento, se n’è andato denunciando l’inaccettabile trattamento e annunciando: “Scriverò a Zaia, raccoglierò firme…”. A parte la replica dell’Ulss 3 “Serenissima”, che ha accusato l’amministratore di aver preteso un trattamento di favore, il problema delle lungaggini nei pronto soccorso del Veneto è reale. Non per colpa di medici o personale sanitario, ma per un carico di incombenze cresciuto negli anni, che ha finito per scaricare interventi sanitari di tipo ordinario sul servizio di emergenza.

La Cgil veneziana ha svolto un monitoraggio sui pronto soccorso dell’Ulss 3 “Serenissima” dimostrando che molti dei problemi derivano dal fatto che si presentano cittadini che non trovano risposta ai propri bisogni di salute nelle 24 ore. È per questo che si creano affollamenti e code, la cui origine è svelata dall’analisi dei gradi di urgenza assegnati dal triage. Come tutti sanno, il “codice rosso” significa emergenza con pericolo di vita e accesso immediato; il “codice arancio” un’urgenza con accesso entro 15 minuti; il “codice giallo” un’urgenza differibile, con accesso entro 45 minuti; il “codice verde” indica un’urgenza minore con accesso entro 60 minuti. Il punto dolente è costituito dal “codice bianco”, l’ultima fascia, che qualifica una “non urgenza”, con visita entro 90 minuti.

“L’analisi fa emergere una media altissima, pari al 47 per cento, di prestazioni potenzialmente improprie nei nostri pronto soccorso”, dichiarano Daniele Giordano segretario generale della Cgil veneziana, Daniele Tronco segretario generale del Sindacato pensionati Spi-Cgil e Marco Busato segretario generale Funzione pubblica Cgil. Innanzitutto sono cresciuti di un terzo gli accessi nei cinque pronto soccorso veneziani dal 2020 al 2022: Mestre ne ha avuti 65.994 nel 2020, 75.700 nel 2021 e 84.685 nel 2022; Venezia 25.870, 29.679 e 35.639; Dolo 26.777, 30.078 e 39.267; Mirano 33.230, 36.926 e 40.260; Chioggia 19.848, 23.167 e 28.162. In totale si è passati da 171.719 accessi nel 2020, a 195.550 nel 2021, a 228.013 nel 2022. In termini assoluti la crescita è di 56.294 unità in tre anni, pari al 32,78 per cento. Ovvio che le percentuali siano più alte quanto minore è la gravità dei casi. Colpisce comunque che nel 2021 gli accessi in “codice bianco” siano stati il 53 per cento a Mestre, il 51 per cento a Venezia, il 44,5 per cento a Dolo, il 46,8 per cento a Mirano e il 42,5 per cento a Chioggia. Aggiungendo i “codici verdi” si verifica come le due fasce meno gravi assorbano una forbice che va dal 71 per cento di Mestre al 78,4 per cento di Chioggia.

“La stessa Regione Veneto ha previsto, presso i pronto soccorso, l’attivazione degli ambulatori dei codici bianchi anche attraverso l’acquisto di prestazioni sia dei medici che degli infermieri, per cercare di dare risposte ai cittadini che nel territorio non le trovano. – commenta la Cgil – Anche l’istituzione del triage infermieristico che ha determinato ulteriore carico di lavoro con personale dedicato dimostra che il problema non è la classificazione nei diversi codici, ma la possibilità di rispondere al numero altissimo di persone che si recano presso le strutture”. In una parola, si va in ospedale perché non ci sono alternative. In particolare è la popolazione anziana, più di altre fasce d’età, a risultare costretta ad utilizzare le strutture d’emergenza per i bisogni di salute.

Dall’elaborazione dei dati dell’Ulss riferiti ai periodi di maggior afflusso dei pazienti emergono tempi di attesa sconcertanti, dal momento della presa in carico a quello d’uscita. Nel presidio di Mestre 7 ore e 47 minuti, a Venezia 5 ore e 27 minuti, a Dolo 5 ore e 31 minuti, a Mirano 6 ore e 53 minuti, a Chioggia 5 ore e 19 minuti. Le soluzioni? “Potenziare un’offerta capillare, decentrare e prevedere nelle sedi territoriali (Distretti) l’attivazione di ambulatori per la continuità assistenziale dopo le ore 20 e nei giorni prefestivi e festivi. – propone la Cgil – Oppure attivare Poliambulatori nel territorio a disposizione dei cittadini, per cercare di non intasare i pronto soccorso”.

Secondo i sindacati questo utilizzo improprio determina un aumento dei costi. “Abbiamo denunciato l’uso degli appalti proprio nei pronto soccorso con seri disservizi ai cittadini che hanno determinato da parte dell’Ulss la rescissione dei contratti. – dichiarano Giordano, Tronco e Busato – Il sistema delle cooperative è fallimentare e la Direzione dell’Ulss 3 veneziana farebbe bene a prenderne atto. La Regione dovrebbe avviare una campagna di sensibilizzazione, e procedere senza più scuse all’attivazione delle strutture nel territorio. La carenza di personale è evidente e riguarda tutto ciò che ruota intorno al Pronto Soccorso a partire da medici, infermieri, operatori socio-sanitari, tecnici radiologi e di laboratorio”.

Chi vede nella gestione delle emergenze uno scivolamento verso la privatizzazione della sanità è Erika Baldin, consigliera regionale dei Cinquestelle: “Se 21 pronto soccorso su 26 in Veneto sono operativi grazie a cooperative private, vuol dire che un problema esiste. Se il privato convenzionato è arrivato al 21 per cento tra ospedali e centri riabilitativi, non si può far finta di niente. Non a caso la giunta Zaia paga ai privati 10 milioni di euro su 41 per smaltire le liste d’attesa, pari al 25 per cento della spesa”.

La replica dell’Ulss 3: “Il sindacato si è dimenticato del 2019. Siamo tornati ai livelli pre covid, non è che sta saltando il sistema territoriale come qualcuno potrebbe pensare. I tempi di attesa, non ancora perfetti ma molto migliorati negli ultimi tempi, sono frutto del lavoro di oltre sei mesi in cui sono state risolte moltissime criticità”. E ancora: “Un’azienda sanitaria non può mandare via chi viene in pronto soccorso con un qualsiasi problema sanitario, anche se dovrà farlo attendere, e non può far lavorare ancora di più i medici e gli infermieri dei pronto soccorso. Da qui il ricorso a operatori sanitari ‘esterni’ senza i quali – lo sa Cgil che da anni non si trovano medici da assumere? – i pronto soccorso chiuderebbero”.