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Alessandro Cattelan a FQMagazine: “Elly Schlein? E’ in sintonia con il nostro linguaggio. Con Giorgia Meloni volevo rifare la famosa scena di una sigla, aveva detto sì…”

A poche ore dall'ultima puntata di stagione di Stasera C'è Cattelan, il conduttore si racconta: "Siamo molto felici. Sono arrivato in una rete nuova convinto dal progetto di squadra perché una corsa in solitaria non avrebbe avuto senso. Mi piaceva l’idea che ci sarebbero stati anche Alessia Marcuzzi, Francesca Fagnani, poi Ilaria D’Amico e Stefano De Martino. L’arrivo di Fiorello, in corsa, ha dato una spinta ancora maggiore"

Eurovision, la serie Netflix, la tv, uno spettacolo a teatro ma anche la radio e una casa editrice fondata da zero. Definire intenso l’ultimo anno di Alessandro Cattelan è un eufemismo e come faccia a trovare un punto di equilibrio tra tutto, resta un mistero: un po’ stakanovista, un po’ bulimico di lavoro, il conduttore chiude giovedì 30 marzo la prima stagione di Stasera c’è Cattelan, il late show partito col freno a mano tirato e cresciuto passo dopo passo con una media di ascolti intorno al 5% di share (e un “effetto valanga” sui social). La scusa di tracciare un “bilancio di fine anno” diventa l’occasione per parlare di tutto, dall’ospitata di Elly Schlein alle critiche, dall’inaspettato lato taciturno alla “punta di arroganza” che viene fuori nei momenti di difficoltà.

Stasera l’ultima puntata di Stasera c’è Cattelan. Bilancio di fine stagione?
Siamo molto felici. Sono arrivato in una rete nuova convinto dal progetto di squadra perché una corsa in solitaria non avrebbe avuto senso. Mi piaceva l’idea che ci sarebbero stati anche Alessia Marcuzzi, Francesca Fagnani, poi Ilaria D’Amico e Stefano De Martino. L’arrivo di Fiorello, in corsa, ha dato una spinta ancora maggiore.

La sinergia ha funzionato?
La prima cosa che mi ha detto Fiorello è stata: “Facciamo squadra”. Ci siamo dati una mano e le cose sono andate bene.

All’inizio, lo scorso autunno, gli ascolti erano bassi. Ha mai pensato: “Non arriviamo a fine stagione?”.
No, onestamente non l’ho mai pensato.

Soffre di ansia da share?
Relativamente. A parte Eurovision, non sono mai stato abituato ai “risultatoni”. Anche con EPCC facevamo ascolti piccoli ma il programma era comunque preso in grande considerazione. Gli ascolti sono importanti ma a me interessa la credibilità del programma, che abbia un’identità precisa, che incontri il gusto del pubblico.

L’impressione è che tra la prima parte di stagione e la seconda abbiate “corretto il tiro”, dando una forma più organica al format.
C’è stata la necessità di cambiare delle cose e lo abbiamo fatto. Non mi prendo i meriti di questi aggiustamenti ma constato che hanno funzionato.

Qual era questa necessità?
Dare un taglio diverso alle interviste, non rinunciare al cazzeggio goliardico ma puntando anche al contenuto. Cosa che cerco di fare tutti i giorni anche in radio. Alcuni errori derivavano poi forse dalla poca conoscenza del pubblico cui andavo a parlare.

Non crede che quello sia stato anche l’errore fatto con Da Grande? Stefano Coletta difese il programma, ammise qualche errore di autoreferenzialità e disse: “Potevamo facilitare l’impatto di Cattelan in Rai”.
Sì, è vero. La differenza è che Da grande è durato due puntate, con Stasera c’è Cattelan abbiamo avuto il tempo per lavorare sugli errori, limate, prendere la direzione giusta. Ma sono sincero: rifarei la stessa scelta di accettare la prima serata. Quando arrivò quella proposta dissi: “Se devo entrare in Rai, devo farlo nel contesto più importante”. E tutti mi dicevano: “E se ci facciamo male?”. Farsi male non era un rischio ma una possibilità concreta. Ho preso uno scivolone, è vero, ma non sono morto e ho continuato a lavorare.

La critica la massacrò.
Le reazioni furono esagerate in tutti i sensi: per alcuni era bellissimo, per altri una merda. Su Twitter siamo stati in trending topic per una settimana, si era creato un dibattito a tratti assurdo. I complimenti sono meglio delle critiche, ma se non devo dare ascolto a chi mi dice che sono un genio allora non do retta nemmeno a chi mi dà del coglione.

Alle critiche rispose però con un monologo dopo il quale la bollarono come permaloso.
Era una punta di arroganza più che permalosità. Ma quella è parte del mio carattere. Non mi voglio giustificare, ma un po’ di “petto in fuori” nei momenti di difficoltà mi stimola. Quanto alle critiche, mi fanno arrabbiare solo quelle condite di paternalismo: mi incazzo perché dico “ma cosa ne sai?”. Mi innervosisce chi ha sempre quello sguardo dall’alto al basso.

La prima serata la rifarebbe?
Dipende. Gli eventi alla Eurovision mi stuzzicano. Ma mi piace il clima e il poter essere un vandalo da seconda serata: lì posso sbracare di più.

I momenti più belli di questa stagione di Stasera c’è Cattelan?
Gli ingressi più assurdi, da quello di Marco Mengoni a quelli di Borghi e Lo Cascio. Tra i più divertenti l’arrivo di Pecco Bagnaia, che ha sentito il suo nome ed è entrato in studio al momento sbagliato. Poi l’ospitata di Colapesce e Dimartino – che ho portato su una gru a dieci metri d’altezza – e la corsa di Filippo Tortu in metro. Per il gran finale, stasera, ci siamo inventati un ingresso acrobatico del professor Alessandro Barbero.

Ha fatto decisamente clamore l’ospitata della neosegretaria del Pd di Elly Schlein. Come l’ha convinta a venire?
Non c’è stata bisogno di convincerla, a dire il vero. L’abbiamo chiamata e ha accettato l’invito. Conosceva il programma ed evidentemente è in sintonia con il nostro linguaggio: è una gamer, è pop, ha voglia di mettersi in gioco. Tanto che ha accettato di suonare Imagine con me sdraiato sul piano. Per me è stato un momento figo, di quelli che tra tanti anni riguarderò con gusto e nostalgia.

La Premier Giorgia Meloni non l’ha invitata?
Ho invitato anche lei e per altro era anche disponibile ma poi a causa di diversi impegni non è riuscita a venire. Per altro, l’avevo contattata diversi anni fa, a EPCC, perché volevamo rifare la sigla di Friends coi volti della politica. L’idea era quella di farli giocare nella fontana: lei aveva detto sì, ma non siamo mai riusciti a convincere gli altri arrivando a sei politici.

È la “politica pop”, bellezza: la Schlein viene da lei a suonare il piano, la Meloni telefona a Fiorello fingendosi la sua imitatrice.
Un tipo di programma come quello che faccio io deve ambire a queste cose. Così come Fiore realizza quegli sketch. Avere dei personaggi influenti che si mettono in gioco è il sogno di ogni conduttore. Noi poi non ci occupiamo di politica in senso stretto: tocchiamo dei temi, ragioniamo sul presente ma non facciamo il talk col contraddittorio.

Il patto non scritto con i suoi ospiti è questo: viene solo chi si mette a disposizione del programma.
Va bene la promozione al film o al libro, ma l’ospite che deve offrire una performance. Il “vengo ma non faccio nulla” a noi non interessa. Proponiamo sempre almeno due idee e le plasmiamo fino a quando vanno bene al nostro ospite: chi viene sa che io farò di tutto per farlo uscire al meglio possibile, non ci sono trappole.

Quanto tempo spendete per l’ideazione di ogni spazio con un ospite?
Il 90% del tempo è dedicato a quello: è la parte più difficile ma anche quella più entusiasmante, sia per il team autorale che per quello produttivo. Infatti, la mattina dopo l’ultima puntata mi sento svuotato: mi alzo e so che posso non pensare a nulla.

Ci sarà una nuova stagione di Stasera c’è Cattelan il prossimo settembre?
Per ora non abbiamo nessuna conferma. È tutto fermo, al momento, ma gli interlocutori con cui ho parlato sono positivi.

Il suo ultimo anno è stato piuttosto denso. Eurovision, la serie Netflix, la tv e uno spettacolo a teatro. In più la radio e una casa editrice. Come fa a stare in equilibrio tra tutte queste cose?
Bella domanda. L’equilibrio dipende probabilmente dal fatto che posso fare quello che voglio: la soddisfazione deriva dalla grande libertà di poter realizzare ciò che mi piace. Credo sia un bel privilegio.

Lei ha detto: “Non sono uno standuppista, non sono un cantante ma non sono neanche un ballerino”. Eppure, ha portato a teatro Salutava sempre, già sold out a Milano. Cosa si aspetta da lei il pubblico?
È una delle domande che faccio alla gente durante lo spettacolo: “Perché siete venuti qui? Cosa vi aspettate?”. La verità è che non ho professionalità specifiche e non ho nemmeno un repertorio. Presumo conti molto l’atteggiamento con cui faccio le cose: non mi prendo mai sul serio, gioco, ma credo molto al risultato finale. Questo forse ripaga.

Cosa le dicono dopo lo spettacolo?
Fino ad ora solo cose positive. In tv magari ti guardano anche se gli stai sulle palle. In teatro pagano per venire a vederti, sanno cosa aspettarsi, cercano quella cosa lì.

Il tour proseguirà anche nella prossima stagione?
Ho detto sì alla proposta di fare uno spettacolo in teatro ma è una delle cose che più mi ha mandato in paranoia nella mia carriera, mi ha letteralmente terrorizzato. Alla fine, me ne sono innamorato ed è un’esperienza che rifarei. Ma prima devo avere il tempo di incastrare i pezzi e scrivere un testo nuovo perché non vorrei riportare in giro lo stesso.

Qual è la cosa che dicono più spesso quando la fermano per strada?
Il 50% urla “Forza Inter”. Il restante 50% “sei un grande ma hai un grande difetto: sei interista”.

Qual è il “lato b” di Cattelan, quello che il pubblico non conosce di lei?
Sono vent’anni che faccio dirette in radio e in tv. Racconto molto di me, sono come sono nella vita, non indosso una maschera. Forse non immaginano che io sia parecchio taciturno: mi piace stare in silenzio, non sono un logorroico come in tv… diciamo che compenso con molti silenzi.

Ha parlato molto invece in Una semplice domanda, la serie Netflix. Quella è una parentesi chiusa?
No, è una parentesi aperta ma non si può improvvisare un’idea perché su Netflix le cose che fai restano per sempre e vanno in giro ovunque. Quando avrò messo assieme un progetto convincente lo proporrò.

Nel frattempo, è diventato anche editore: da super lettore a fondatore della casa editrice Accento.
Ho voluto sperimentare, tuffarmi in mondo diverso dal mio. Per il mestiere che faccio sono sempre il centro di me stesso, qui invece faccio un passo di lato e lavoro per gli altri. Il primo giorno, la mail è esplosa di richieste e di manoscritti.

Legge tutto o delega?
Matteo B Bianchi, che è il direttore editoriale, ed Eleonora Daniel, la capo redattrice e editor, scremano tutto poi tocca e me: l’ultima parola su ciò che vale la pena pubblicare è sempre la mia. In generale, cerco di leggere il più possibile di ciò che arriva perché sono estremamente curioso: tanto le cose brutte le sgami dopo poche pagine.

Ultima curiosità. Durante l’intervista con Serena Dandini ha detto che spesso le danno del radical chic. È un’etichetta che la fa arrabbiare o la diverte?
Ho un mio gusto, mi faccio domande sulle cose, leggo, mi informo. Ma oggi persino se mangi con le posate invece che con le mani sei radical chic. Sa perché mi fa ridere? Perché sono cresciuto guardando Mediaset, il Drive In e la mia formazione è ultra pop. Ho fatto lanciare Buffon contro un gonfiabile, le sembro uno radical chic?