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Israele, si placano le proteste ma la crisi per Netanyahu non è finita. E il premier ricompensa l’ala estremista che lo minaccia

Dopo quasi tre mesi di crisi, si potrebbe vedere nell’annuncio di Benjamin Netanyahu di lunedì sera i segni di una bandiera bianca alzata sulla revisione giudiziaria. Il primo ministro israeliano ha promesso nel suo discorso di congelare il suo “ribaltone giudiziario” fino alla sessione estiva della Knesset, che terminerà a luglio. Questo è in qualche modo incoraggiante e risponde ad alcune delle richieste fatte nelle piazze invase dai manifestanti. Ma lo stop alle sue “leggi truffa” arriva troppo tardi, un danno incommensurabile è già stato arrecato allo Stato, alla Difesa e all’economia di Israele. E poi, è certamente difficile dare credito alle sue promesse, come i fatti hanno più volte dimostrato anche di recente. Ci sono buone ragioni per sospettare che Netanyahu stia solo cercando di placare il movimento di protesta e l’opposizione, riducendo l’opposizione alle nuove leggi in attesa del prossimo momento opportuno. Questo è un classico del Netanyahu-style: la crisi non finisce mai, continua e cambia solo forma. Ha già ottenuto un primo risultato lunedì sera. La Federazione del lavoro Histadrut e l’Unione delle autorità locali, che avevano lanciato uno sciopero sulla scia del licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, intensificando così la lotta contro la revisione giudiziaria, hanno immediatamente annunciato lo stop allo sciopero, a partire da stamane.

Mentre Netanyahu faceva circolare per tutta la giornata di ieri fughe di notizie sulla sua disponibilità alla conciliazione, ha però anche altri piani, e non sono altrettanto amichevoli. Ciò che sta cercando di ottenere ricorda un po’, certo con tutte le dovute differenze, ciò che sta cercando di ottenere l’Iran sul nucleare. Gli iraniani, secondo fonti dell’intelligence occidentale, sono interessati a consolidare l’opinione secondo cui nel giro di 12 giorni Teheran è in grado di accumulare una quantità di uranio arricchito sufficiente per fabbricare una bomba nucleare. Insomma, la bomba non c’è ma si può avere in meno di 2 settimane. Ecco, Netanyahu vuole collocarsi a 48 ore dal completamento della legislazione che gli permetterà di controllare la composizione della Corte Suprema. Se questo non avverrà a marzo, niente gli impedirà di sfruttare il prossimo periodo sonnolento nel campo dei suoi oppositori e completare la sua mossa con un blitz alla fine della sessione estiva di luglio, con i deputati della Knesset ansiosi di andare vacanza.

Il discorso di Netanyahu alla fine è arrivato alle 8 di sera, con l’inizio del telegiornale serale su tutti i canali. Prima era stato impegnato a placare la sua ala ultra estremista, che minacciava di lasciare il governo. Itamar Ben-Gvir, la persona con cui Netanyahu ha rifiutato di farsi fotografare poco prima delle elezioni, per restare ha ricevuto la sua dolce ricompensa: la promessa di istituire una guardia nazionale subordinata direttamente a Ben-Gvir. Difficile da credere, ma il primo ministro sta assegnando a un discepolo del rabbino razzista Meir Kahane (che fu estromesso dalla Knesset per le sue posizioni xenofobe) la formazione di una milizia armata privata, che non risponderà alla polizia. Forse entro l’estate sarà possibile essere assistiti da questa milizia nella repressione delle manifestazioni. Sarà interessante vedere se il reclutamento per questa milizia verrà da gruppi preferiti dal ministro, come i razzisti e xenofobi “La Familia” e “Lehava”. Questi due gruppi erano ben rappresentati lunedì sera quando, per la prima volta dallo scoppio della crisi, la destra ha riunito migliaia di sostenitori in una manifestazione di contro protesta a Gerusalemme. Come al solito, la destra ha parlato a due voci. I leader hanno invitato i loro seguaci a presentarsi armati e rabbiosi, con i gruppi WhatsApp che incitavano alla violenza, mentre Netanyahu si affrettava a dissociarsi da tutto ciò per mantenere una distanza di sicurezza da possibili esiti.

Sullo sfondo, la questione di Yoav Gallant rimane irrisolta. Netanyahu ha punito il suo ministro della Difesa per aver osato mostrare a lui e al pubblico israeliano la gravità della situazione e lo sconcerto all’interno della Difesa di Israele, (Esercito, Marina, Aviazione). La direzione del personale dell’IDF e il suo dipartimento di scienze comportamentali sanno che il fenomeno dei riservisti che si rifiutano di presentarsi in servizio è incalcolabilmente più profondo e più ampio di quanto riportato dalla stampa e sui social media.

Per l’establishment della Difesa, la condotta di Gallant è stata un raggio di luce in un governo estremista che insiste nel minare la stabilità sul fronte interno. Lunedì sera lo stato maggiore sperava ancora che Netanyahu revocasse la sua decisione, ma non ci sono segni che ciò accada. Il discorso di Netanyahu lunedì sera non è stato altro che una cortina fumogena usata a fini tattici, senza alcun accenno di volontà di vero dialogo. Ha continuato il suo assalto ai soldati di riserva patriottici che lavorano per il loro paese, senza preoccuparsi di spiegare la sua scandalosa decisione di licenziare Gallant. Nonostante il leggero ottimismo diffuso lunedì sera dagli studi televisivi, è dubbio che il suo discorso possa districare Israele da questa crisi, o dai danni che ha inflitto all’economia, all’esercito e alle relazioni internazionali di Israele.