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Ucraina, i reporter Bosco e Sceresini tornano in Italia: “Lavorare sarebbe stato impossibile. Altri colleghi nella nostra situazione”

I due reporter, ai quali Kiev ha ritirato gli accrediti stampa il 6 febbraio scorso, parlano a Ilfattoquotidiano.it poco prima di imbarcarsi per un volo che li ha riportati in Italia. E ripercorrono i loro ultimi 20 giorni nel Paese, tra impossibilità di lavorare e contatti con la Farnesina per varcare il confine

Dopo 20 giorni dal ritiro dei loro accrediti stampa da parte delle autorità di Kiev in quanto giornalisti “non graditi” e sospettati di essere collaborazionisti di Mosca, i reporter Alfredo Bosco e Andrea Sceresini, entrambi collaboratori di FqMillennium e in Ucraina fin dall’inizio del conflitto, tornano a casa. Poco prima di imbarcarsi, Sceresini ripercorre questi giorni di tensione e scambi di comunicazioni tra la Farnesina e le autorità ucraine nel tentativo di capire i motivi dietro alla decisione delle forze di sicurezza. Motivi, però, mai chiariti fino in fondo.

Dove vi trovate adesso?
Siamo a Varsavia e ci stiamo imbarcando per l’Italia. Finalmente, dopo 20 giorni, torniamo a casa.

Alla fine l’Ucraina ha motivato la decisione di ritirare i vostri accrediti?
Non c’è stata alcuna comunicazione ufficiale, non ci hanno mai interrogato, non ci hanno mai voluto sentire. Hanno notificato la decisione e basta. Tutto ciò che abbiamo saputo ci è stato comunicato dalla Farnesina. Ci hanno spiegato che la nostra presenza non era più gradita e che su di noi emergevano sospetti su una possibile attività da collaborazionisti della Russia. Questo perché semplicemente ci siamo recati in Donbass tra il 2014 e il 2015, come molti altri giornalisti da tutto il mondo.

Dove avete passato gli ultimi giorni in attesa della possibilità di essere rimpatriati?
Siamo stati a Kiev, abbiamo anche provato a chiedere un accredito per partecipare alla conferenza stampa di Giorgia Meloni, arrivata per incontrare Zelensky. Ci è stato negato pure quello, nonostante fossimo italiani. È stato solo l’ultimo messaggio di Kiev per farci capire che lavorare, per noi, era diventato impossibile. Senza accredito militare, comunque, potevamo fare ben poco.

Tu e Alfredo Bosco siete in Ucraina dall’inizio del conflitto. Col passare del tempo avete notato maggiori difficoltà nello svolgere il lavoro di reporter?
Devo essere sincero, noi abbiamo sempre lavorato liberamente. Certo, per poterci accreditare per missioni con i militari dovevamo svolgere controlli più rigidi e affrontare la macchina burocratica tipica delle Forze Armate. Ma questo è normale in ogni Paese. Forse queste misure si sono rafforzate un po’ col passare dei mesi, ma è anche comprensibile. Il grande cambiamento c’è stato il 6 febbraio scorso, quando ci è arrivata la comunicazione da parte di Kiev sull’annullamento del nostro accredito giornalistico. E oggi ho scoperto che non siamo gli unici ad essere stati raggiunti da questo avviso: anche Matilde Kimer, famosa giornalista della radio pubblica danese, ha visto il proprio accredito ritirato, nell’agosto scorso, con l’accusa di essere “un agente russo”. Curioso, dato che era già stata dichiarata “persona non grata” proprio dalla Russia anni fa.