Mafie

“Se avessi davanti Messina Denaro, questa sarebbe la mia prima domanda”. Il dilemma di Grasso che potrebbe essere risolto dal boss

“Se qualcuno mi chiedesse ‘se avessi davanti Matteo Messina Denaro, da dove inizieresti a fare le domande?’ Questa sarebbe la prima domanda, perché è una vita che mi arrovello su questo punto. Un punto fondamentale” dice Pietro Grasso, giudice a latere nel Maxiprocesso ed ex procuratore nazionale antimafia, durante la diretta di presentazione del libro di Lirio Abbate, “U siccu” (Paper First – Rizzoli), con l’autore e Peter Gomez.

Il “punto fondamentale” di cui parla Grasso è il cambio improvviso di strategia che portò alle stragi del ‘92 e del ‘93. Dopo che la Cassazione rese gli ergastoli definitivi con sentenza del del 30 gennaio 1992, Riina spedì un commando di suoi fedelissimi – Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro insieme al gioielliere Geraci, Sinacori, Renzino Tinnirello e Fifetto Cannella – a Roma, per uccidere Falcone e altri (tra cui Costanzo, Martelli e altri giornalisti) però con armi comuni. “Perché con armi comuni – continua Grasso – perché si sa che l’esplosivo genera la possibilità di colpire persone innocenti, cosa che la mafia ha sempre cercato di evitare in passato”. Non solo. Nelle intenzioni originarie, gli attentati dovevano essere rivendicati dalla falange armata “per depistare un po’, confondere le acque. Nel senso che non si doveva sapere se era Cosa Nostra, i servizi internazionali, stranieri… Si doveva fare una cosa così, che era tipica di una vendetta mafiosa, però, con lati oscuri”.

All’improvviso, invece, tutto cambia. Il 5 marzo – data certa ricavata dal riscontro di un biglietto aereo Roma/Palermo – Sinacori viene chiamato da Riina che gli dice “tornate tutti”, perché “dopo aver parlato con persone importanti” aveva cambiato strategia. “Ha cambiato nel senso che ci ha messo il bollo – dice Grasso – La trattativa non sarebbe mai iniziata se non ci fosse stato il bollo di Cosa Nostra. Una volta che metti sotto un cunicolo dell’autostrada, sul territorio palermitano, 500 chili di esplosivo, non può che essere Cosa Nostra. Il controllo del territorio lì è assoluto”. Scatta quindi una strategia “che si accompagnava a quello che era l’obiettivo di uccidere e vendicarsi del nemico numero uno di Cosa Nostra (Falcone) ed evitare che potesse continuare le indagini successive. E poi spunta questo nuovo movente solo terroristico eversivo. Per chi, per che cosa – si chiede Grasso. “Non dimentichiamo che c’erano state anche quelle propalazioni di un certo Ciolini che aveva parlato di una riunione a Zagabria, in Croazia, che doveva appunto esserci una stagione delle stragi. Quindi, una strategia internazionale che viene applicata e di cui Riina si fa portatore. E poi si continua con Bagarella, anche dopo l’arresto di Riina e dopo l’accelerazione di Borsellino, con le stragi di Firenze, Roma Milano… Ecco, io vorrei sapere da Matteo Messina Denaro, lasciamo stare i documenti, come se lo spiega questo cambio di strategie” chiosa Grasso.

“Che non può non sapere” si aggrega Abbate. Poi Gomez aggiunge un tassello per gli ascoltatori della diretta: “Il 23 gennaio del 1994, Cosa Nostra tenta di far saltare un’autobomba davanti allo Stadio Olimpico – in viale dei Gladiatori a Roma – per uccidere centinaia di carabinieri” – in servizio di ordine pubblico per la partita di calcio Roma-Udinese. Ma l’ordigno non esplose. Dopo quattro giorni, vennero arrestati i fratelli Graviano. Restò fuori Matteo Messina Denaro. “Nonostante questo – prosegue Gomez – non si tenta di ripetere la strage. Come se si fosse chiuso qualcosa. E lui (Messina Denaro) dovrebbe sapere cosa si è chiuso”. Il boss, arrestato lo scorso 16 gennaio dopo 30 anni di latitanza, potrebbe ora risolvere il dilemma che tormenta Grasso e non solo. Ma l’ex magistrato, Gomez e Abbate concordano nel dubitare che Messina Denaro voglia collaborare. Date le sue gravi condizioni di salute, è assai probabile che scelga di portarsi questo e altri segreti nella tomba.

Per saperne di più, ascolta il dibattito tra Lirio Abbate, Pietro Grasso e Peter Gomez, in occasione della presentazione del libro di Abbate “U siccu”, ora in edicola con il Fatto Quotidiano, edito da Paper First in cobranding con Rizzoli.