Mafie

Agrigento, il sistema di videosorveglianza ha le pile scariche: il testimone di giustizia resta senza allarme (e senza sonno)

La protezione di Ignazio Cutrò, imprenditore che denunciò il pizzo, è affidata a un sistema di allarme che però ora ha le batterie scariche. Lui non può cambiarle perché il sistema è stato installato e può essere manipolato solo dalle forze dell'ordine. Risultato: l'uomo è senza dispositivi di protezione e spesso impossibilitato persino a dormire, perché l'allarme prende a suonare durante le notte

“Da quattro anni non dormo più la notte”. Ignazio Cutrò, testimone di giustizia che ha denunciato i suoi estorsori nei primi anni Duemila, non si sente più al sicuro nella propria casa a Bivona, in provincia di Agrigento, per via di una semplice batteria scarica. Da quattro anni infatti, il sistema di videosorveglianza che i carabinieri hanno installato nella sua casa ha un problema legato alle pile. Il fatto che queste siano scariche provoca, ad ogni abbassamento di tensione, l’attivazione dell’allarme, spesso nel cuore della notte, facendo pensare a una intrusione. “Per una semplice batteria di 11,50 euro devo vivere con l’ansia che possa entrare qualcuno nella mia casa” – dice ora Cutrò.

La vicenda paradossale si protrae da 4 anni perché la batteria può essere sostituita soltanto dalle forze dell’Ordine a cui Ignazio Cutrò ha più volte segnalato il problema senza successo: “Ho informato tutti ma non cambia niente in questa situazione – denuncia Cutrò, che è presidente dell’associazione italiana dei testimoni di giustizia – non posso cambiarla io perché verrei denunciato per manomissione di una proprietà dello Stato. Oggi viviamo quindi sequestrati da un sistema di videosorveglianza del ministero dell’Interno. Questa situazione è diventata un incubo e toglie serenità alla mia famiglia. Non so più cosa fare”.

Ignazio Cutrò, ex proprietario di una impresa edile, nel 1999 aveva subito il primo attentato incendiario perché non aveva pagato il pizzo ai suoi strozzini, altri imprenditori edili che nel frattempo hanno continuato a minacciarlo. Le continue intimidazioni lo portarono a collaborare con i carabinieri, fino a far arrestare i fratelli Panepinto, ancora oggi in carcere. Da quel momento è entrato nel programma di protezione, scegliendo però di non andare via dalla sua terra, da Bivona, piccolo paese dei monti Sicani, nel cuore della Sicilia. Cinque anni fa la scorta è stata ridimensionata a una videosorveglianza, nonostante le polemiche di Cutrò che dice di essere ancora a rischio, e a una interrogazione presentata dall’ex deputata Piera Aiello che chiedeva di rivedere la decisione, invano. “Adesso quelle istituzioni che dovrebbero proteggermi si sono dimenticate di me, mentre da un lato si fa la lotta alla mafia, dall’altro la parte migliore del Paese viene abbandonata”. Il testimone di giustizia ha scritto anche alla Prefettura di Agrigento, senza ottenere risposta. Il silenzio lo ha portato anche a pubblicare un video di denuncia: “Se le cose non cambieranno scenderò in piazza e vado a incatenarmi davanti alla prefettura di Agrigento, altrimenti se si attiva di nuovo l’allarme smonto tutto e mi prendo la denuncia. Non posso più vivere in questo modo, questo è quello che meritiamo per aver contribuito a denunciare la mafia”. Se il messaggio cadrà nel vuoto, Cutrò avvierà una protesta a partire dal prossimo martedì.