Diritti

“Hai la sclerosi multipla? Licenziati o mettiti in malattia”: le storie e le battaglie legali di Aism in Sardegna, regione col primato di incidenza

Le testimonianze a ilfattoquotidiano.it di Francesca, Chiara, Marianna, Ivan che si sono ritrovati a vivere la propria invalidità come una colpa in situazioni quotidiane: luoghi di lavoro, uffici amministrativi, banche. In un'isola che continua a registrare tristi record nazionali di presenza di pazienti colpiti dalla malattia al sistema nervoso centrale

La disabilità come una colpa. La malattia come causa di perdita del lavoro o di diniego di un mutuo. Fece rumore sui giornali, alcuni mesi fa, la storia di Emanuela Cappai, l’insegnante di Nuraminis (centro della provincia del Sud Sardegna), rimossa dal suo incarico perché ritenuta inidonea all’insegnamento e non in grado di gestire i bambini da una commissione del ministero dell’Istruzione. In Sardegna l’Aism, l’associazione italiana sclerosi multipla, segue molti casi analoghi: storie di discriminazione legate alle oggettive difficoltà provocate dalla malattia. Perché se è vero che la patologia del sistema nervoso centrale non impedisce di lavorare (se non quando progredisce nelle forme più severe), è altrettanto vero che condiziona la quotidianità, impone tempi e strategie che si rivelano spesso incomprensibili, se non addirittura ingiustificabili, agli occhi degli altri.

C’è chi ha voglia di raccontare le loro storie. Francesca e Chiara sono due dei circa 7mila pazienti che in Sardegna fanno i conti con l’imprevedibile malattia che registra proprio nell’isola un’incidenza quasi doppia rispetto alla media nazionale: 370 casi ogni 100mila abitanti, contro 200. Entrambe sono seguite dal servizio legale dell’Aism di Cagliari. Accettano di raccontare le rispettive esperienze con la speranza di convincere altri pazienti a denunciare i comportamenti scorretti di colleghi e datori di lavoro: “Tacere significa fare il gioco di chi vorrebbe quasi farci sentire in colpa per la malattia che non ti sei certo cercata”, dice Francesca, 39 anni.

Lei lavorava per un’impresa di servizi e nel 2019, dopo una lunga serie di visite e accertamenti, è riuscita a dare un nome agli strani disturbi che le facevano compagnia da tempo: camminata claudicante, stanchezza, difficoltà a reggere in mano gli oggetti. “Appena ricevuta la diagnosi mi è sembrato giusto comunicarlo ai miei responsabili, anche perché i colleghi si erano accorti dei sintomi ormai diventati visibili”, dice. Ma la reazione non è stata quella che lei si aspettava: neppure un briciolo di empatia di fronte alla sua drammatica confessione, solo un muro di fronte alla richiesta di mansioni compatibili alla condizione di salute. “Mi hanno risposto che avrei dovuto licenziarmi o, in alternativa, mettermi in malattia”. Un colpo al cuore: il mondo, che già le era crollato addosso a seguito della diagnosi, l’ha travolta una seconda volta. Era la fine del 2019: dopo un periodo di malattia, è subentrata la cassa integrazione Covid. Poi ancora malattia, che dovrà avere un termine. Pena il licenziamento. Per questo Francesca si è ora affidata alle avvocate di Aism.

Ha fatto lo stesso Chiara, commessa in una catena di negozi di abbigliamento: la sua richiesta di modifica dei turni di lavoro è caduta nel vuoto. “Non mi sono mai tirata indietro – racconta – e ho cercato di tenere per me il problema di salute, ma quando è diventato evidente che qualcosa non andava, ne ho parlato e ho fatto la mia proposta per evitare di avere turni che dalla mattina si protraevano fino alla sera. Mi sembrava una cosa giusta, anche per evitare di avere problemi con il rendimento a causa dell’affaticamento provocato dalla malattia. Ma dopo un primo segnale di disponibilità, la situazione è ritornata come prima: ho persino sentito qualche collega che si lamentava per le mie assenze. Pur sapendo che erano per controlli e terapie, non certo per divertimento. Certe volte mi assale lo sconforto e mi viene da pensare di essere io il problema”.

Non ci sono soltanto gli ostacoli sul posto di lavoro. Marianna, che a 39 anni fa i conti con una delle forme più severe di sclerosi multipla, non è ancora riuscita a ottenere un alloggio compatibile con le sue condizioni: è costretta a vivere al quinto piano di un alloggio popolare di Iglesias (a 50 chilometri da Cagliari) dove l’ascensore è così stretto da far passare a malapena la sedia a rotelle. “Ma solo dopo aver tolto i copri-ruote e aver fatto diverse manovre – dice il marito Andrea – a volte devo prenderla in braccio per sistemarla bene nella sedia e non farle male. Quando io non ci sono, nessun altro può fare questo e a Marianna è impedito anche uscire per prendere un po’ d’aria. Sto combattendo con Area (l’Agenzia regionale edilizia abitativa) per avere un altro alloggio, ma inutilmente”.

Discriminazione è anche quella subìta da Ivan, 47 anni, che si è visto negare un prestito da alcune finanziarie a causa della malattia. “Mi sono sentito rispondere che secondo loro ero a rischio morte e, quindi, non avrei potuto finire di pagare le rate. È stato sconfortante, anche perché i soldi mi servivano per comprare una nuova macchina, con la pedana per la sedia rotelle. Alla fine ce l’ho fatta grazie al direttore di una banca locale, che conosco personalmente e si è prodigato per accogliere la mia richiesta”.

“Spesso la vittima ha difficoltà a sviluppare una piena consapevolezza del fenomeno, quasi impara ad adattarsi”, dice Anna Perillo consulente psicologa dell’Aism. “Il fenomeno non va sottovalutato e i segnali cui prestare attenzione, per individuare tali comportamenti dovuti sia alla malattia sia al genere, sono molteplici”. Quelli che possono costituire un campanello d’allarme sono un eccessivo isolamento dalla vita sociale, la perdita di interesse per il mondo esterno, la rinuncia alla realizzazione e alla cura di sé. Chiedere aiuto è la strada da seguire. Per questo proprio Aism ha avviato (già da alcuni anni a livello nazionale) il progetto I>Dea, iniziativa che è attiva anche a Cagliari e con un percorso di autoformazione e confronto punta a creare consapevolezza, dando gli strumenti utili a comprendere come la disabilità e la patologia spesso nascondano profonde discriminazioni di genere nonché potenziali violenze: non solo fisiche, ma anche economiche e psicologiche. Anche l’Asms (acronimo di Associazione sclerosi multipla Sardegna) tiene d’occhio il fenomeno, come conferma il presidente regionale, Sergio Cavoli. “La nostra è un’associazione giovane, ma in circa un anno e mezzo i nostri consulenti legali hanno preso in carico due persone per situazioni che, fortunatamente, si sono ricomposte”.