Mafie

“Per un documento falso bastano biadesivo e timbro a secco”: il racconto dell’impiegato che firmò la carta d’identità di Bonafede

Intervistato dal Corriere della Sera, Vincenzo Pisciotta, 70 anni, smentisce ogni responsabilità sul documento trovato a Matteo Messina Denaro. "L'ho firmato io, certo, ma era regolare. Se quel giorno mi fosse passata davanti la foto di un altro me ne sarei accorto"

“Dopo 40 anni di professione ero come il pastore del gregge che conosce le sue pecore una ad una. Andrea Bonafede lo conosco bene, se quel giorno mi fosse passata sotto gli occhi la foto di un altro me ne sarei accorto. E poi li avete visti anche voi, no? Il vero Bonafede e Messina Denaro non si somigliano mica, anche se nel 2016 Andrea in testa aveva qualche capello in più”. Intervistato dal Corriere della Sera, Vincenzo Pisciotta conferma di avere firmato nel 2016 la carta d’identità trovata addosso a Matteo Messina Denaro, ma smentisce seccamente di essere responsabile della contraffazione che ha permesso di “prestare” l’identità di Bonafede al boss di Castelvetrano.

Pisciotta, racconta il Corriere, oggi ha 70 anni ed è in pensione. Al quotidiano di via Solferino dice anche che nessuno tra le forze dell’ordine, fino ad ora si è presentato a casa a chiedergli conto di quanto avvenne nel febbraio del 2016 quando era ancora impiegato nel comune di Campobello di Mazara: “Si vede che non ne hanno bisogno”, ironizza. Su come la foto di Messina Denaro sia finita sul documento, del resto, l’ex dipendente comunale ha una idea precisa: “Le foto delle carte d’identità s’incollano col biadesivo, ma con il calore la colla si scioglie e la foto viene via che è una bellezza. Così si leva e se ne mette un’altra”. Nessun dubbio nemmeno sul timbro a secco che – fino all’avvento delle carte elettroniche – veniva apposto tra la foto e il supporto cartaceo: “Anche una timbratrice a secco si può comprare come il biadesivo in cartoleria, io lo so perché ricordo che quando in ufficio si ruppe la macchinetta ordinai di comprarne un’altra che avesse la scritta “Comune di Campobello di Mazara” stampata sul timbro. Una persona con i giusti canali può avere quello che vuole”. “Di sicuro” – aggiunge – la carta di identità “che gli ho rilasciato io con la mia firma era regolare. E sopra c’era la sua foto. Comunque basta andare a vedere negli archivi del Comune e della Prefettura di Trapani. Oltre alla carta emessa, infatti, la procedura vuole che se ne facciano altre due copie che restano lì. Se i carabinieri non mi hanno ancora chiamato, penso che le abbiano già trovate”. Per parte sua, Pisciotta si è fatto anche una idea chiara di come si sia, dopo 30 anni, arrivati all’arresto di Messina Denaro: “So bene cosa vuole dire avere a che fare con un tumore, da 50 anni non ho più una gamba – dice al quotidiano milanese – Credo che il boss abbia fatto in modo di farsi trovare, che fosse stanco di lottare con la malattia. Ha deposto le armi”.