Moussa Balde, condannati a due anni gli autori del pestaggio. La famiglia del migrante: “Ora verità sulla sua morte in isolamento nel Cpr”
Psicologicamente provato da anni di respingimenti e convinto del fallimento del proprio progetto migratorio, Moussa Balde in quelle settimane si trovava a vivere per strada nella città di frontiera, senza dimora e privo di documenti regolari. A seguito del pestaggio, con una prognosi di 10 giorni, Moussa Balde fu raggiunto da un decreto di espulsione perché privo di permesso di soggiorno. Accompagnato dalla polizia al Cpr di Torino, non gli venne data la possibilità di testimoniare sul pestaggio subito e venne trattenuto nell’”ospedaletto”, una sezione di isolamento che, secondo i legali della famiglia, non è regolamentata da nessun criterio giuridico presente all’interno della struttura di detenzione riservata a persone prive di documenti regolari.
In questo luogo di isolamento, nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021, Moussa Balde viene trovato morto: “La notte della sua morte l’abbiamo sentito urlare a lungo e chiedere l’intervento di un dottore – raccontarono i testimoni presenti in quelle ore – senza ricevere nessuna risposta”. “Non credo che questo si possa definire un suicidio – denuncia oggi suo fratello Amadou Thierno Moussa, che chiede solidarietà nella ricerca di giustizia che chiede allo Stato italiano – piuttosto ci sembra l’inevitabile conseguenza di un’aggressione razzista e di una detenzione illegale”. Le indagini della Procura di Torino sono ancora in corso ma i probabili capi d’accusa per le nove persone indagate sono omicidio colposo e sequestro di persona, proprio per l’assenza di criteri giuridici che regolino procedure di “isolamento” in una struttura come i Centri di permanenza per il rimpatrio. Sotto accusa anche il medico che ha valutato il giovane migrante idoneo alla detenzione e al successivo isolamento.