Cronaca

Il Vaticano riapre il caso Emanuela Orlandi: via a nuove indagini della Gendarmeria. Accertamenti su nuove e vecchie piste

A quasi 40 anni dalla scomparsa della ragazza, il promotore della giustizia vaticana Alessandro Diddi ha deciso di far ripartire le indagini. Nuovi accertamenti saranno affidati alla Gendarmeria, che batterà piste seguite in passato, cercando allo stesso tempo conferme anche su nuove ipotesi investigative. La notizia, anticipata dall’Adnkronos, è stata confermata al ilfattoquotidiano.it

Il Vaticano ha riaperto il caso Emanuela Orlandi. A quasi quarant’anni dalla scomparsa, il promotore della giustizia della Santa Sede, Alessandro Diddi, ha deciso di far ripartire le indagini su uno dei grandi misteri della storia vaticana recente. Un caso che attraversa intrighi internazionali e legami economici di Cosa nostra col Vaticano. E che s’intreccia ai rapporti tra alti prelati e la Banda della Magliana, ma pure all’attentato di Ali Agca contro Wojtyla, il 13 maggio 1981. Il caso Orlandi, dunque, è un complesso puzzle in cui molte tessere non hanno ancora trovato il loro incastro. Ora nuovi accertamenti saranno affidati alla Gendarmeria, che batterà piste già seguite in passato, cercando allo stesso tempo conferme anche su nuove ipotesi investigative. La notizia, anticipata dall’agenzia Adnkronos, è stata confermata al ilfattoquotidiano.it. La riapertura dell’inchiesta è dovuta a una serie d’istanze pervenute alla Santa Sede che indicavano nuovi filoni da seguire per fare luce su un caso rimasto irrisolto. Molte di queste richieste provengono dalla famiglia Orlandi, che da tempo chiede di conoscere la verità sulla scomparsa di Emanuela.

L’avvocato della famiglia: “Noi all’oscuro” – “Noi ne siamo all’oscuro, lo apprendiamo dagli organi di stampa ma certo è da un anno che attendevamo di essere ascoltati”, dice l’avvocato Laura Sgrò, avvocato della famiglia, all’agenzia Ansa. Da mesi, spiega la legale, gli Orlandi sono in attesa di una convocazione da parte del promotore di giustizia Vaticano. “Io avevo scritto al Papa il quale, rispondendomi, mi aveva indicato di avere un confronto con il Pg. Lo abbiamo subito chiesto”, diceva a luglio 2022 l’avvocato Sgrò, riferendo che per questo si era attivata con il promotore di Giustizia “a gennaio”, quindi esattamente un anno fa. “Mi colpisce la riapertura delle indagini, una riapertura improvvisa. Se è su impulso di Papa Francesco, ben venga”, dice invece Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. “Non so se è una decisione presa dopo la recente proposta di aprire una inchiesta parlamentare – continua – Magari potrebbe nascere una collaborazione tra Stato italiano e Vaticano, mancata per 40 anni. E’ chiaramente una notizia positiva e mi auguro di essere sentito dagli inquirenti”.

L’Angelus di Wojtyla, i servizi, i sedicenti rapitori – Da quello che trapela il lavoro degli investigatori partirà da tutti i risultati investigativi già acquisiti, provando a battere nuove piste mai seguite in passato. In pratica le indagini proveranno a fare ordine su una mole impressionante di dati, interrogatori e documenti. Gli inquirenti riavvolgeranno il nastro della storia indietro di 40 anni, fino al pomeriggio del 22 giugno 1983. Emanuela Orlandi, figlia 15enne di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, esce da casa sua in Vaticano per recarsi a una lezione di musica in piazza Sant’Apollinare. Non farà mai più ritorno. La scomparsa di Emanuela diventa un caso attenzionato in tutto il mondo pochi giorni dopo, il 3 luglio 1983, quando Giovanni Paolo II interviene all’Angelus con queste parole: “Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso”. Un intervento, quello del Pontefice, che illuminò da subito la vicenda della giovane di nazionalità vaticana. D’altra parte, già pochi giorni dopo la denuncia della famiglia, i servizi segreti italiani si erano interessati direttamente al caso, come ha raccontato Pietro Orlandi: perché gli 007 avrebbero dovuto interessarsi al caso di un’adolescente scomparsa, per la quale non era ancora giunta alcuna richiesta di riscatto? A partire dall’appello del pontefice, alcuni sedicenti rapitori si faranno sentire telefonicamente con la famiglia per tutta l’estate. Quelle sono chiamate strane, perchè collegano il rapimento a una sorta di ritorsione per l’arresto di Ali Agca. Poi, però, le telefonate diventeranno sempre più rare. Piano piano i sedicenti rapitori svaniscono nel nulla, come nel nulla è ormai svanita Emanuela. Chi è che chiamava in casa Orlandi? Davvero erano i sequestratori della giovane?

Parla l’ex compagna di De Pedis – Di sicuro c’è solo che le indagini vennero riaperte nel 2006, dopo le dichiarazioni di Sabrina Minardi, ex compagna di De Pedis: sostenne che Emanuela era stata rapita proprio dal boss della Banda della Magliana, prima di essere consegnata a un alto prelato nei pressi della pompa di benzina di città del Vaticano. L’inchiesta collegò il caso Orlandi alla scomparsa di Mirella Gregori, un’altra 15enne svanita nel nulla a Roma il 7 maggio del 1983, circa un mese e mezzo prima di Emanuela. Nel 2015, però, il gip archiviò le indagini su richiesta della procura, chiudendo di fatto ogni accertamento sui sei indagati. Tra questi figurava anche monsignor Pietro Vergari, l’unico ecclesiastico finora mai coinvolto in un’inchiesta sul caso Orlandi: ex rettore di Sant’Apollinare, fu lui a scrivere al Vicariato di Roma definendo De Pedis un benefattore dei poveri che frequentavano la Basilica. E spingendo, in questo modo, l’istanza per sepperlirlo all’interno della chiesa: sarà solo nel 1997 che si scoprirà come il boss della Magliana fosse stato tumulato come un’importante personalità in una cripta all’interno della Basilica. La scuola di musica frequentata da Emanuela Orlandi il giorno della scomparsa dista solo poche centinaia di metri.

L’era Bergoglio – Nel frattempo al soglio di Pietro era stato eletto Jorge Mario Bergoglio, che il 17 marzo 2013, nella sua prima domenica da vescovo di Roma, si fermò a salutare la mamma e il fratello di Emanuela, dopo la messa celebrata nella Parrocchia Pontificia di Sant’Anna in Vaticano, al confine tra l’Italia e lo Stato più piccolo del mondo. “Emanuela sta in cielo”, disse il Papa agli Orlandi. Segno che per la Santa Sede la ragazza era ormai morta da tempo: ma che elementi ha il Vaticano per avere questa convinzione? E perché non li ha resi pubblici? Va detto che con Francesco sembra essere mutato l’atteggiamento della Santa Sede sulla vicenda. Fino a pochi anni fa, infatti, il Vaticano non aveva mai davvero collaborato alle indagini sul caso Orlandi. Nel 2018, invece, Francesco ha dato il via libera all’analisi del dna su alcune ossa ritrovate durante dei lavori di restauro nella sede della Nunziatura di via Po, sempre nella capitale. Le indagini, affidate dalla Santa Sede alla procura di Roma e alla Polizia scientifica italiana, dovevano comparare quei resti con il codice genetico di Emanuela. Le analisi, però, diedero esito negativo. Come negativo fu pure il risultato dell’apertura di alcune tombe nel Campo Santo Teutonico in Vaticano dove, secondo la famiglia Orlandi, sarebbe stata sepolta Emanuela. Un’altra pista che non ha dato i risultati sperati. E che adesso sarà di nuovo passata al setaccio dagli investigatori del Vaticano. Che hanno riaperto le indagini dopo il grande clamore mediatico creato sulla vicenda da una serie televisiva di Netflix, Vatican Girl. E a nove giorni esatti dalla morte di Benedetto XVI.