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“Italiano strangolato nell’ambasciata dell’Uruguay”: ma la Procura è costretta a chiedere l’archiviazione

La guardia giurata che aveva fermato Luca Ventre e lo ha asfissiato era stata iscritta nel registro degli indagati. Ma visto che non è mai stato presente nel territorio italiano i magistrati non possono procedere

Era entrato nall’ambasciata italiana in Uruguay scavalcando un cancello. E a quel punto era stato fermato da un un uomo della sicurezza che lo aveva messo pancia a terra, impedendogli di respirare fino a provocargli un arresto cardiaco. È stato ucciso così, strangolato, Luca Ventre, il 35enne italiano morto il primo gennaio del 2021 a Montevideo. La ricostruzione per la procura di Roma è chiarissima, ma i magistrati hanno chiesto l’archiviazione dell’indagine avviata in Italia per improcedibilità, in quanto l’indagato non è mai stato presente nel territorio italiano. A essere iscritta nel registro degli indagati dal procuratore aggiunto, Sergio Colaiocco, era stata la guardia giurata Ruben Eduardo Dos Santos Ruiz, accusato di omicidio preterintenzionale. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti italiani, che hanno disposto sulla salma della vittima, Ventre morì dopo essere stato trasportato in ospedale. Un decesso causato, secondo l’esame autoptico, per una “asfissia meccanica violenta ed esterna per una prolungata costrizione del collo che provocò l’ipossia celebrale dalla quale derivarono il grave stato di agitazione psicomotoria e l’arresto cardiaco irreversibile”.

Le autorità uruguayane, però, il 15 novembre scorso hanno ritenuto di confermare che il decesso sia legato esclusivamente allo stato di “eccitazione psicomotoria associata al consumo di cocaina” di cui l’uomo faceva uso con ripercussioni cardiache “avvenute in un contesto di misure di contenzione fisica” escludendo, quindi, le responsabilità del vigilantes. Secondo una prima ricostruzione fornita dalla magistratura uruguaiana Ventre sarebbe morto a causa del mix tra la cocaina che l’uomo aveva assunto nei giorni precedenti alla morte e i farmaci che i medici del Pronto Soccorso gli hanno somministrato.

In base ad alcuni video che hanno ripreso la fasi dell’”irruzione” nell’ambasciata, Ventre era infatti vivo quando venne trasportato nel Pronto Soccorso. Le verifiche che la Procura capitolina ha affidato ai carabinieri del Ros hanno però consentito di ricostruire la dinamica dei fatti raccogliendo “elementi più che sufficienti a sostenere in giudizio la responsabilità dell’indagato” ma i limiti all’azione penale per la morte di italiani all’estero rendono impossibile la richiesta di un processo.

Per il delitto per cui si procede è necessario, infatti, che ci siano due condizioni: la richiesta di “punizione” da parte dei familiari di Ventre o da parte del ministero della Giustizia e la presenza di chi ha commesso il reato sul territorio italiano. La famiglia ha presentato querela su quanto avvenuto e via Arenula, da parte sua, la richiesta di procedere. A mancare è il secondo presupposto in quanto il vigilantes è “assente” in Italia e quindi non perseguibile.