Politica

Caso Soumahoro, l’autodifesa in tv di Fratoianni e Bonelli. Da “non mi pento della scelta” a “chi sapeva avrebbe potuto dircelo”

I due leader dell'Alleanza Verdi Sinistra intervengono a Mezz'ora in più, intervistati da Lucia Annunziata, sulle coop gestite da moglie e suocera del deputato. "Ma chi lo sapeva che c'era un business Soumahoro", dice il segretario di Sinistra Italiana

Nicola Fratoianni dice di non essere pentito della scelta, Angelo Bonelli accusa chi sapeva ma non ha posto la questione in tempo per annullare la candidatura. Chi si aspettava un’ammissione di responsabilità dai due leader di Alleanza Verdi sinistra sul caso Soumahoro, è rimasto deluso dalle risposte a Lucia Annunziata nella trasmissione Mezz’ora in più su Rai Tre. Aboubakar Soumahoro, uomo immagine del cartello elettorale insieme a Ilaria Cucchi ed eletto alla Camera dei deputati, è al centro di uno scandalo (in cui non è indagato) che riguarda cooperative gestite da moglie e suocera dello stesso Soumahoro: dipendenti che denunciano maltrattamenti e soprattutto mancati pagamenti, a cui si aggiungono segnalazioni sospette dell’antiriciclaggio sui conti correnti delle due donne. Non secondario il fatto che le coop in questione si occupavano di “servizi di accoglienza e integrazione sul territorio di richiedenti asilo, rifugiati politici e immigrati”: temi su cui Soumahoro ha costruito la sua immagine pubblica, attraverso battaglie anti-caporalato e anti-sfruttamento, fino alla creazione della “Lega dei braccianti”.

Inevitabile, quindi, al di là delle giustificazioni mediatiche dello stesso Soumahoro (tra lacrime su facebook e rivendicazioni del “diritto all’eleganza e alla moda” come giustificazione del tenore di vita di sua moglie non proprio in linea con le difficoltà economiche di cui parlava con i dipendenti), che il pallino passasse ai due responsabili politici che l’hanno candidato. Potevano non sapere? Si sono pentiti? Sulla prima domanda, la componente di Sinistra italiana è lacerata, perché non manca chi sostiene di aver avvertito Fratoianni, ma inascoltato, ben prima delle elezioni. “Ma chi lo sapeva che c’era un business Soumahoro – risponde Fratoianni – ma io che ne sapevo? Se io ho una segnalazione, allora questo mette in discussione la candidatura di una persona che ha fatto grandi battaglie e che rafforzava il terreno del lavoro sul tema migranti e sulla questione dei ghetti”. Nessuna autocritica vera sulle responsabilità nella selezione di una classe dirigente: “Io non mi pento della scelta“, sostiene. “Spero che l’evoluzione di questa vicenda porti a una soluzione e mi preoccuperò di tutelare chi su questo fronte continua a lavorare”.

Diversa la linea dell’altro “azionista” di Alleanza Verdi Sinistra, Angelo Bonelli, che a botta calda aveva ammesso di aver “commesso una leggerezza”. Nell’intervista su Rai Tre non nasconde il tormento, ma accusa chi “sapeva e non ha detto nulla” tra il 10 e il 21 agosto, cioè tra l’annuncio della candidatura e l’ufficializzazione delle liste. “Quando abbiamo deciso di candidarlo, lo abbiamo fatto perché in quanto attivista pensavamo di fare un’operazione di apertura e dimostrare che i partiti non sono una cosa chiusa, se qualcuno aveva cose da dire così gravi, non lo ha fatto in 10 giorni. Nessuno ha posto la questione. Chi sapeva doveva dirlo allora, non ex post. Quando il 10 agosto abbiamo presentato la candidatura di Aboubakar, se qualcuno sapeva che c’erano circostanze che sconsigliavano quella candidatura avrebbe potuto dirlo”. Insomma, Fratoianni e Bonelli rivendicano la loro ignoranza sugli aspetti controversi del loro candidato di punta. Anche se su questa versione pesa l’accusa dei dirigenti di Sinistra Italiana, che in una lettera scrivono: “La segreteria di Si era perfettamente a conoscenza, da molto tempo prima della candidatura”.