Cronaca

Aboubakar Soumahoro, tutto quello che c’è da sapere sul caso delle coop gestite da moglie e suocera

Stipendi non pagati, maltrattamenti, lavoro nero e fatture false: ecco le accuse (e le indagini in corso). La vicenda è esplosa grazie a una denuncia in Prefettura del sindacato Uiltucs, a seguito della quale la Procura di Latina ha aperto due indagini parallele. Una, affidata alla Guardia di finanza, ipotizza la truffa ai danni dello Stato e altri reati fiscali, l'altro (senza ipotesi di reato) riguarda i presunti maltrattamenti nelle strutture delle cooperative, raccontati dagli ospiti minorenni, su cui indagano i Carabinieri. Ma c'è terzo fascicolo per malversazione

Stipendi non pagati, denunce di maltrattamenti, lavoro nero e fatture false, segnalazioni di operazioni sospette. C’è di tutto nella complessa vicenda (giudiziaria e non) che coinvolge la cooperativa sociale Karibu e il consorzio Aid, due enti del terzo settore che si occupano di “servizi di accoglienza e integrazione sul territorio di richiedenti asilo, rifugiati politici e immigrati”, amministrati a vario titolo da Marie Thérèse Mukamitsindo e Liliane Murekatete, entrambe ruandesi, rispettivamente suocera e moglie del neo-deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Aboubakar Soumahoro. Un caso fatto esplodere dalla denuncia in Prefettura del sindacato Uiltucs, a seguito della quale la Procura di Latina ha aperto due indagini parallele. Che però non sono le uniche a riguardare la suocera dell’ex sindacalista dei braccianti, premiata nel 2018 dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini come “imprenditrice straniera dell’anno”.

Gli stipendi non pagati – Andiamo con ordine, partendo dal caso più recente. A giugno 2022, 24 dipendenti di Karibu e di Aid (che hanno sede allo stesso indirizzo, peraltro il medesimo della “Lega Braccianti” di Soumahoro) si rivolgono al segretario di Uiltucs Latina, Gianfranco Cartisano, denunciando di non essere stati retribuiti per periodi lunghissimi, fino a 22 mesi. Altri due invece raccontano di aver lavorato in nero per la suocera del deputato: per essere pagati, dicono, veniva chiesto loro di procurare fatture false da far emettere a società esterne, in modo da giustificare i versamenti. Con l’assistenza del sindacato, il 1° luglio, i 24 dipendenti arrivano a una conciliazione con le coop di fronte all’Ispettorato del lavoro di Latina, che accerta un totale di 400mila euro di stipendi non versati e approva un piano di pagamento dilazionato. Quell’impegno, però, non viene rispettato per mesi interi. Così la Uiltucs si rivolge alla Prefettura di Latina, chiedendole di bloccare i pagamenti delle committenze alle cooperative e trasferire direttamente quei soldi ai lavoratori. E lo scorso 10 novembre vengono liquidate le spettanze ai primi quattro dipendenti di Aid, per un totale di circa cinquantamila euro.

Le denunce di maltrattamento – Nel corso dei vari incontri in Prefettura, però, si spalanca un altro fronte. Il sindacato porta le testimonianze di alcuni ospiti, anche minorenni, delle strutture gestite dalle due cooperative nel pontino nell’ambito del progetto di accoglienza diffusa Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). Ne viene fuori un quadro fosco di giovani migranti che raccontano di essere stati lasciati senza corrente, acqua, cibo e vestiti: “Il cibo non era buono e non c’era acqua né elettricità. Poi hanno chiuso a chiave questa casa perché non c’erano soldi”, la testimonianza di Ziyad, 16 anni. “C’era sempre poco cibo e i ragazzi avevano fame. Le condizioni erano pessime, non compravano vestiti ai ragazzi. Quando gli ospiti sono arrivati hanno ricevuto una tuta, un pigiama, un paio di scarpe, uno di mutande e una giacca. Poi basta. Dovevano uscire e lavorare per potersi vestire”, ha raccontato a Repubblica una 36enne che lavorava in una delle strutture come cuoca. “Sul cibo dicevano che dovevamo farci bastare quel poco che portavano. Poi, senza avvisarci, hanno mandato i ragazzi in altre strutture a Napoli, Frosinone e pure in Calabria”, dice un’altra lavoratrice. Non era garantito nemmeno il cosiddetto “pocket money” da dieci euro al giorno: “A quei ragazzini non davano quasi mai la cosiddetta paghetta, quando sono stati trasferiti erano quattro mesi che non la vedevano”.

Le indagini e le Sos – Sulla base di questi e altri racconti la Procura apre due fascicoli: uno, affidato alla Guardia di finanza, ipotizza la truffa ai danni dello Stato e altri reati fiscali, l’altro (senza ipotesi di reato) riguarda i presunti maltrattamenti nelle strutture, su cui indagano i Carabinieri. Procedimenti che si affiancano a un’indagine per malversazione di erogazioni pubbliche aperta nel 2019 (e ancora in corso) nei confronti della suocera di Soumahoro, nata da un blitz dell’Ispettorato del lavoro in una delle strutture di Karibu (di cui è presidente del consiglio d’amministrazione). Inoltre, come ha scritto La Verità, sul conto corrente di Marie Thérèse Mukamitsindo sono arrivate all’Antiriciclaggio di Bankitalia varie segnalazioni di operazioni sospette, in una delle quali si ipotizzava che un flusso totale di 145mila euro “provenienti dalla Karibu e riguardanti stipendi e rimborsi anticipi” fosse stato in realtà utilizzato per spese personali.

La difesa – La donna ha sempre giustificato i mancati pagamenti ai dipendenti, e le condizioni fatiscenti delle strutture, con il fatto che le cooperative per prime non venissero pagate dagli enti pubblici per gli appalti loro affidati. “Non abbiamo soldi da dargli perché lo Stato non ci paga in tempo: tra burocrazia e Covid i fondi arrivavano anche dopo un anno e mezzo. (…) Il mio errore è stato non licenziarli prima. Quando ci siamo accorti che gli anticipi dello Stato arrivavano troppo tardi avrei dovuto avere il coraggio di farlo, ma li conosco da vent’anni e ho preferito aspettare”, ha detto a Repubblica. Una versione che non convince Cartisano: “Molti di queste commesse arrivano dal ministero degli Interni, cioè dalla Prefettura. Che nei nostri incontri ha assicurato che da parte loro non c’era nessun ritardo. Ma indipendentemente da questo, mi sembra assurdo che un ente pubblico possa non pagare un progetto per 22 mesi”, dice al fattoquotidiano.it. Nell’intervista, Mukamitsindo ha inoltre sostenuto che i ragazzi che hanno denunciato i maltrattamenti non si fossero mai lamentati con loro, suggerendo che siano stati “manipolati dal sindacato, che è andato da loro”. “Non accettiamo insinuazioni: il sindacato si è dedicato esclusivamente a tutelare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e ogni nostra azione è stata fatta nel loro esclusivo interesse. Le denunce che abbiamo ricevuto sono arrivate spontaneamente da parte di lavoratori in grave difficoltà per non aver ricevuto da molti mesi il loro stipendio”, è la risposta del segretario locale Uiltucs.