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‘Da 8mila a 1.200 euro, il senatore ha detto ok’ Così funziona la fabbrica dei risarcimenti di Pillon e degli altri ex leghisti “offesi” via social

I tre ex onorevoli non rieletti tramite lo stesso legale avviano una massiva campagna di risarcimenti da diffamazione via social. I clienti lamentano danni fino a 20mila euro anche per post vecchi di tre anni, di cui mai si erano accorti prima, per far leva sulle conseguenze penali (altrimenti prescritte) oltre che civili. "Non monetizziamo la paura, se non possono pagare bastano le scuse" dice l'avvocato. Ma si prendono la pensione dell'anziano, anche a rate

“Ho parlato nuovamente col senatore. Mi ha detto che è disposto a 1200 in due mesi. Se va bene risponda “ok va bene” o frase analoga”. Benvenuti alla fabbrica dei risarcimenti per ex parlamentari offesi, sede legale Modena. Da qui scrive lo studio dell’avvocato Giorgio Virgili in nome e per conto degli ex onorevoli Stefano Lucidi, Simone Pillon e Guglielmo Golinelli accomunati dal partito e – ora che parlamentari non sono più – dalla scoperta di quanto siano remunerativi vecchi post offensivi, di cui prima non si erano accorti, per i quali chiedere risarcimenti da 6 a 20mila euro ciascuno. Da almeno un anno lo studio Virgili recapita centinaia di raccomandate-fotocopia – a marzo pare fossero già 680 – in cui intimano agli autori di prendere contatto per procedere al risarcimento. In caso contrario, si legge, il cliente si riserva di agire “in sede civile e penale”.

Il Fatto lo ha raccontato pochi giorni fa, dando anche conto dei dubbi sulla correttezza dell’operazione avanzati da alcuni avvocati di Milano e Bologna che invitano i destinatari a non pagare ma attendere che la ventilata denuncia si concretizzi sul tavolo di un giudice. Non contestano che insultare sia un reato, né il sacrosanto diritto alla difesa della reputazione. I loro dubbi vertono sulle modalità stesse dell’operazione a “strascico”. A farne le spese sarebbero le persone più fragili e impreparate, che pagano perché spaventate dalla minaccia di conseguenze peggiori. Per questo, preparano un esposto alla Procura della Repubblica con l’ipotesi di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione, a seconda di come deciderà l’Autorità Giudiziaria”.

L’avvocato Virgili, contattato dal Fatto, difende le richieste dei suoi assistiti come legittime e corrette, non starebbero “monetizzando la paura” ma contribuendo semmai a una battaglia di civiltà perché il web non resti un luogo in cui odio e ingiurie dilagano impuniti. “Tanto è vero – sostiene – che se una persona è realmente in difficoltà, documenta di non poter pagare o di avere problemi di salute sono il primo a dirgli che basta una lettera di scuse e la chiudiamo lì. E’ appena successo con un ragazzo disoccupato, se vuole le do il numero, può chiamarlo”. Il numero non arriverà mai, altri casi non confermano l’approccio conciliante.

Quello, ad esempio, di un signore di 70 anni, pensionato, che a fine settembre riceve la comunicazione per un post vecchio di tre anni, ma di cui – come negli altri casi – l’ex onorevole Lucidi sostiene di essersi accorto solo adesso, così che non siano decorsi i 90 giorni utili per sporgere la ventilata denuncia penale, senza la quale la raccomandata farebbe meno effetto ai destinatari. Il destinatario questo però non lo sa, angosciato dai toni minacciosi, decide di non dire niente alla famiglia, contatta lo studio legale come la lettera gli intima di fare.

E’ vero, racconta l’anziano, si era molto arrabbiato quando il senatore eletto nel 2018 coi Cinque Stelle nel 2019 passa alla Lega. “Quella sera sarò stato solo a guardare la tv, avrò sentito la notizia e lasciato un commento sull’onda dell’impulso”, racconta. Mai più avrebbe pensato di ricevere una raccomandata così tre anni dopo. Neppure si ricordava di quel post. Racconta poi di essersi scusato al telefono, di aver spiegato la sua condizione economica, che è pure cardiopatico, e di non poter materialmente pagare la cifra pretesa. Nel giro di poche ore l’offesa all’onore dell’ex onorevole da 8mila euro si lava via con meno di 1500. Il pensionato ribatte che anche così, con tutta la buona volontà, non riesce, chiede allora di limare ancora la cifra e di poter rateizzare il pagamento. Il responso: “Ho parlato nuovamente col senatore (che senatore non è più, ndr). Mi ha detto che è disposto a 1200 in due mesi. Se va bene risponda ‘ok va bene’ o frase analoga”. Un po’ come un risponditore automatico.

La fabbrica va a pieno regime. Le raccomandate sono scritte in serie: cambiano i destinatari, il commento incriminato e poco altro. La materia prima abbonda, basta scorrere i commenti di alcuni post particolarmente riusciti nell’aizzare gli hater: quello del 27 ottobre 2021 con cui un Pillon sornione esulta per l’affossamento del Ddl Zan (“154 a 131 ciao ciao Zan”, 5.237 commenti) , quello del 6 ottobre 2021 in cui Golinelli si fa immortalare a cinghiale ucciso (“L’unico soluzione per ridurre i cinghiali è la caccia”, 5143 commenti), sorridente e con tanto di commento (“divertito”), che è un modo sicuro per attirarsi le simpatie degli animalisti.

La fabbrica è poi attenta ai “beni di produzione”, vale a dire a preservare quei post offensivi che possono valere fino a 20mila euro cadauno. Le lettere che emette avvertono i destinatari che è inutile cancellarli o rimuoverli: “E’ stato associato un account di screening digitale Forense – si legge – che permette di registrare gli utenti che apporranno modifiche ai commenti, ai post o proveranno a cancellarli. Ogni modifica/cancellazione verrà registrata e documentata nonché prodotta in giudizio”. Monito che, posto sia così, suona assai singolare.

Effettivamente sarebbe “corpo del reato”, ma la mancata cancellazione e permanenza in rete aggrava l’asserito danno reputazionale oggetto della richiesta risarcitoria. Non per nulla, la prima cosa che fa un giudice in questi casi è intimarne l’immediata rimozione. La comunicazione disincentiva la cancellazione e la modifica modifica del commento, impedendo così agi autori di dar prova del ravvedimento dell’autore, in pratica di chiedere pubblicamente quelle “scuse” di cui l’avvocato parla (ma non le raccomandate che invia). Lo induce a rinunciare a esercitare un proprio diritto: giacché scuse e cancellazione, sarebbero un esimente in caso di giudizio. “Sì a ripensarci forse è stata una cavolata – ammette sul punto l’avvocato Giorgio Virgili – una cosa stupida più che altro dal punto di vista strategico, non perché contraria alla legge. Anche perché una volta che ti mando la raccomandata sono a posto”. E l’emissione di raccomandate, continua.