Calcio

Messico ’70 il Mondiale più bello di sempre? Macché, la vittoria del Brasile fu un’operazione militare

Per il generale Emílio Garrastazu Médici, salito al potere nell'ottobre del 1969, non esisteva strumento migliore del calcio per cementare il consenso attorno al regime mentre incrementava l'apparato repressivo. Per tanti brasiliani, il ricordo di quel Mondiale è come osservare un panorama mozzafiato con un granello di sabbia negli occhi

IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 5 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere

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Nel luglio del 1969 l’alto comando dell’esercito brasiliano intimò a Gilberto Gil e Caetano Veloso, due tra i massimi esponenti del tropicalismo che stava rivoluzionando musica, cultura e società in Brasile, di lasciare il paese. Per una dittatura militare sempre più feroce e repressiva, che già da un paio di anni aveva messo al bando l’ultimo baluardo di opposizione democratica, la libertà artistica e di sguardo proiettata da questi musicisti era ritenuta troppo sovversiva. Dopo la prigione toccava all’esilio, impacchettato con i primi semi di quella strategia ufanista che avrebbe caratterizzato il regime. Come scrive Pietro Scaramuzzo in Tropicalia – La rivoluzione musicale nel Brasile degli anni Sessanta, “l’ufanismo, termine mutuato dall’opera di Affonso Celso Porque me Ufano do Meu País (Perché mi vanaglorio del mio paese), sarà il mezzo che i militari utilizzeranno per accattivarsi le simpatie della popolazione, avvalorando l’ipotesi, falsa, per cui chi non appoggia il regime non ama il Brasile”. Infatti lo slogan sarà: Brasil, ame-o ou deixe-o (Brasile, amalo o lascialo).

Per il generale Emílio Garrastazu Médici, salito al potere nell’ottobre del 1969, non esisteva strumento migliore del calcio da affiancare all’ufanismo per cementare il consenso attorno al regime mentre incrementava l’apparato repressivo a livelli mai conosciuti prima, né dopo, dal paese. La giunta militare investì milioni di dollari per garantire alla nazionale brasiliana la miglior preparazione possibile in vista del Mondiale messicano, per poi appropriarsi del successo una volta che la missione fu compiuta grazie alla qualità straordinaria di una delle migliori squadre mai viste in una coppa del mondo. Per tanti brasiliani, il ricordo del Mondiale 1970 è come osservare un panorama mozzafiato con un granello di sabbia negli occhi. Qualcosa disturba la vista e impedisce una visione perfetta. Nel suo Futebol – Lo stile di vita brasiliano, Alex Bellos scrive che, al momento della pubblicazione (2002), non esisteva un solo libro in portoghese dedicato alla vittoria della coppa del mondo del ’70 e l’unico in inglese, The Beautiful team di Garry Jenkins, non era nemmeno stato tradotto.

La prima mossa dei militari fu spedire Claudio Coutinho, preparatore atletico della nazionale con un passato da capitano nell’esercito, in Florida alla NASA per studiare i processi di preparazione fisica degli astronauti dell’Apollo. Al suo ritorno, Coutinho introdusse il test di Cooper. I suoi programmi furono un aggiornamento e una modernizzazione del concentracao, progetto inaugurato nel 1958 dal presidente della Federcalcio brasiliana Joao Havelange che prevedeva uno schema di allenamento intensivo concentrato in 40 giorni nel quale furono coinvolti dottori, dietisti, neurologi, cardiologi e oftalmologi. Con risultati a volte bizzarri, visto che i test psicologici sconsigliavano la convocazione di giocatori quali Garrincha e Pelè in quanto “troppo infantili”. Ma i metodi di Coutinho erano avanti anni luce e prevedevano scarpe preparate su misura, magliette termiche per mantenere il corpo fresco (furono tagliati i colletti verdi utilizzati fino a quel momento in quanto si inzuppavano di sudore e infastidivano i calciatori), dieta a base di proteine e vitamine “tarata” sugli ingredienti tipici utilizzati dalla cucina messicana. Anche lo schema del sonno fu adattato al fuso orario del Messico. “Sembravano dei preparativi per un’operazione militare in tutti i sensi”, ha ricordato Paulo Cesar Lima, il dodicesimo uomo di quella nazionale. “Disciplina ferrea, esercizi fisici in continuazione, test, il tutto circondati da soldati e cani da guardia”.

Medici occupò ogni spazio disponibile, interferendo anche con il lavoro del commissario tecnico João Saldanha, non propriamente una persona che viaggiava sulla sua stessa lunghezza d’onda, visto che da giovane era stato segretario della União da Juventude Comunista. Due i principali motivi dell’invasione di campo del presidente: Pelè e Dario Maravilha. Il primo, secondo Saldanha, non era fisicamente al top. Questo non significava che Saldanha non avrebbe portato Pelè in Messico, ma la pressione esercitata da Medici per includere a priori il miglior giocatore del paese non facilitò le cose. La presenza di Dadà invece non era un’opzione per il tecnico. Attaccante molto prolifico, assolutamente sopra le righe e quindi amato dalla stampa e dai tifosi (per inquadrare il tipo, una volta dichiarò di masturbarsi sempre prima di una partita per entrare in campo più leggero), era un pallino di Medici. A livello tattico però era completamente anarchico e inserirlo nei meccanismi della squadra sarebbe stato difficile. Il carattere di Saldanha non era tra i più malleabili: litigava con giornalisti e allenatori e diceva sempre ciò che pensava. Fu rimosso dall’incarico poco prima del Mondiale, qualche giorno dopo un’intervista nella quale disse: “Come io non scelgo i ministri del Presidente, così lui non decide chi gioca in attacco nella mia squadra”.

Fu Mario Zagallo a portare il Brasile sul tetto del mondo, e lo fece risolvendo la grana Dario nella maniera più realista possibile: lo portò in Messico ma non lo schierò nemmeno per un minuto. I verdeoro vinsero la loro terza Coppa Rimet e Medici diede il via a una repressione senza precedenti. Pochi mesi prima del Mondiale era stata ordinata l’esecuzione dei guerriglieri marxisti Carlos Larighela e Carlos Lamarca. L’onda lunga dei festeggiamenti, con Medici che per la prima volta aprì le porte del Palazzo Presidenziale alla gente, consentì ai militari di proseguire con abusi e persecuzioni senza nemmeno preoccuparsi di tenerli nascosti. Fu incarcerato Aldyr Schlee, l’uomo che aveva disegnato le iconiche maglie del famigerato (in Brasile) Mondiale 1950. Dei tropicalisti si è già detto. In un solo anno di governo, il numero delle denunce per tortura era salito da 308 a 1027. Il governo si impossessò anche di un vecchio canto da stadio brasiliano, Pa Fente Brasil (Avanti Brasile) trasformandolo in un jingle propagandistico trasmesso dalle radio a ogni ora. “Ha vinto il Brasile del calcio, ha perso il Brasile paese”, ha detto una volta Tostão, una delle rare voci critiche al regime tra i giocatori della Seleção 1970.

David Voares insegnava in una scuola nei sobborghi di Bahia prima di essere rimosso dall’incarico per le sue idee non collimanti con quelle del regime. Intervistato da Jon Spurling nel suo Death or Glory, ha ricordato che, nonostante tutto, si recò a Brasilia per la parata della nazionale con la coppa del mondo. “Ma fu più una dimostrazione di potere militare che non la celebrazione di un successo sportivo. Carri armati sulle strade, soldati che puntavano i fucili in direzione delle persone che provavano ad avere un contatto con i giocatori. E poi la faccia di Medici ovunque. Per il resto del mondo Messico ’70 è stato il Mondiale più bello, il Mondiale di Pelè e di una squadra di fuoriclasse che ha saputo fondere il calcio con l’arte. Non posso dar loro torto. Ma per il sottoscritto e molti altri brasiliani Messico ’70 è stato il Mondiale di Medici”.