Mondo

Iran, prima condanna a morte per le proteste dopo la morte di Mahsa Amini. E altre 756 persone mandate a processo per i “disordini”

Altri cinque detenuti sono stati condannati a una pena dai 5 ai 10 anni. Dall'inizio delle manifestazioni diventano così oltre 2mila le persone rinviate a giudizio. Teheran contro Macron per aver incontrato quattro attiviste: "Deplorevoli e vergognose le sue dichiarazioni"

C’è il primo condannato a morte per le proteste in Iran dopo la morte di Mahsa Amini. L’uomo è stato ritenuto colpevole di aver “appiccato il fuoco a un centro governativo, turbato l’ordine pubblico, cospirato per commettere un crimine contro la sicurezza nazionale, inimicizia verso Dio e corruzione sulla terra”. Altri cinque detenuti sono stati condannati a una pena dai 5 ai 10 anni. Per la morte della giovane donna, cui sono seguiti disordini in tutto il Paese, nel frattempo è stato deciso di mandare a processo altre 756 persone in tre province iraniane.

In 164 saranno processati nella provincia meridionale di Hormozgan, altre 276 in quella centrale di Markazi e, infine, 316 nella provincia di Isfahan, mentre 100 giovani sono stati rilasciati con la promessa con non prenderanno più parte a disordini in futuro. Dall’inizio delle manifestazioni per Mahsa Amini diventano così oltre 2mila le persone rinviate a giudizio, quasi la metà delle quali a Teheran.

Intanto il governo iraniano ha reagito furiosamente alle dichiarazioni del presidente francese, Emmanuel Macron, che venerdì a Parigi ha ricevuto a margine del Forum per la pace quattro attiviste iraniane, elogiandole per la “rivoluzione” che “stanno conducendo” nel loro Paese. Dichiarazioni che sono state bollate come “deplorevoli e vergognose” dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, secondo cui quella di Macron è una “flagrante violazione” delle “responsabilità internazionali della Francia nella lotta al terrorismo e alla violenza”.

Secondo l’Eliseo, Macron ha ricevuto una delegazione composta da Masih Alinejad, attivista che vive a New York e che incoraggia le iraniane a protestare contro l’obbligo di indossare il velo, Shima Babaei, che si batte per avere informazioni sul padre detenuto per molti politici, Ladan Boroumand, co-fondatrice di un’organizzazione per i diritti umani con sede a Washington, e Roya Piraei, la cui madre Minoo Majidi è stata uccisa dalle forze di sicurezza all’inizio della repressione delle proteste.