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Grecia, l’olocausto di Arkadi a Creta: una lezione attuale (e non retorica) contro l’invasore

Cade in novembre il ricordo dell’Olocausto di Arkadi, in Grecia, anniversario significativo non solo per la lotta greca di liberazione, impreziosita dal supporto di personaggi come Giuseppe Garibaldi (presente fisicamente in Grecia) e Victor Hugo, ma per i destini complessivi dell’Europa occidentale desiderosa di esempi positivi di libertà e democrazia. L’Olocausto di Arkadi (Creta) è stato un evento i cui riverberi si sono avvertiti in tutto il mondo cristiano contribuendo a creare una nuova ondata di filoellenismo nell’intero continente.

Dopo aver resistito asserragliati nel monastero all’assedio degli ottomani per due lunghissimi giorni, 964 greci, tra guerrieri, monaci, donne e bambini, scelsero di far saltare in aria il deposito delle armi e andare incontro a morte certa piuttosto che arrendersi ai turchi.

Situato a 22 km a sud-est di Rethymno, il monastero è uno dei simboli della lotta per la libertà di Creta e l’indipendenza dai turchi. Il luogo in cui sorge il monastero è pervaso da un’aura quasi ancestrale. Le mura esterne colpiscono per possenza grazie al metro e venti di larghezza. L’aria è intrisa di profumi e nel tragitto che accompagna i visitatori fino all’ingresso della struttura. Non è infrequente imbattersi nelle note di violino e lira che compongono i motivi folkloristici delle sonorità cretesi. Ma è facendo ingresso in questo vero e proprio tempio di libertà che si ha la cifra di storie e anime di un passato che è utile ricordare non per un mero vezzo celebrativo, quanto per l’esempio che offrono di determinazione e coraggio di fronte a una difficoltà infinitamente elevata. Al suo interno è ospitato anche l’ossario con i resti dei combattenti cretesi, oltre a una piccola collezione di cimeli ecclesiastici, icone post bizantine, paramenti e documenti sulla storia del monastero.

La rivoluzione cretese del 1866 visse nel monastero di Arkadi la sua pagina più rilevante. Rendendosi conto di non poter fare affidamento su un aiuto esterno, i cretesi decisero quindi di agire in solitudine e il 21 agosto 1866 proclamarono la Rivoluzione sotto il motto “Enosis o Thanatos”, che significa “unione o morte”. Le proposte da consegnare ai comandanti turchi vennero respinte la mattina dell’8 novembre e in contemporanea ebbero inizio le ostilità. Gli ottomani, nonostante gli attacchi furiosi, non riuscirono a fare ingresso nel monastero. Solo a sera, resisi conto delle difficoltà, chiesero rinforzi e fu portato un cannone da Rethymno per creare una breccia nel monastero. I turchi e gli albanesi presenti massacrarono coloro che erano sopravvissuti. Bruciarono il tempio e saccheggiarono le reliquie.

Dei greci che si trovavano nel monastero, solo tre o quattro riuscirono a fuggire, mentre circa un centinaio vennero catturati. Tra di loro c’era uno dei capi, Ioannis Dimakopoulos, che fu giustiziato seduta stante. L’abate del monastero di Arkadi, Gabriel Marinakis, era invece stato ucciso prima dall’esplosione della polvere da sparo.

Il monastero di Arkadi, pur avendo le proprie coordinate geografiche sull’isola di Creta, non appartiene solo a essa. Appartiene a tutta la Grecia, all’Europa e, attraverso i cinque continenti, a tutto il mondo perché è sinonimo di coraggio, di lotta per la libertà, di dignità e rifiuto dell’oppressore. È uno dei monasteri dell’ortodossia che sottolinea l’universalità e in modo particolare l’universalità della Chiesa. Ogni anno riceve e accoglie migliaia di ospiti e pellegrini provenienti da diversi paesi e da culture lontane che si raccolgono in preghiera, non importa in quale lingua, per ricordare un sacrificio ideale: aver rinunciato al bene prioritario, la vita, piuttosto che sottomettere se stessi, i propri figli e la propria dignità al volere dell’invasore. Una lezione che, meglio di tante altre che rigurgitano retorica, è assolutamente attuale.

@FDepalo