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‘Bucarest. Polvere e sangue’, il libro di Margo Rejmer è un viaggio nella rivoluzione incompiuta della Romania

Il libro di Rejmer, che nelle sue pagine confessa l'attrazione e il legame stabilito in anni di viaggi con quella città tanto sfarzosa, esagerata, elegante quanto dura, cruda e violenta, non può essere considerato un semplice reportage: è un viaggio nel presente che non riesce a nascondere un passato che si ostina a rimanere lì, invadente, davanti agli occhi di chi vive Bucarest ogni giorno. Un passato con il quale in molti non vorrebbero più avere a che fare

Alla luce del sole ci sono i grandi palazzi sorti sulle ceneri dei vecchi quartieri residenziali, i viali esagerati, lo sfarzo quasi osceno della Casa del Popolo. Nel cuore degli abitanti di Bucarest, invece, rimangono le ferite mai rimarginate, i traumi mai superati per quella rivoluzione “che non c’è mai stata”. Bucarest. Polvere e sangue (Keller Editore, 18,5 euro) di Margo Rejmer è un reportage nell’anima dei cittadini della capitale romena, un viaggio immersi in un passato mai cancellato e che torna, inesorabile, nei ricordi, nelle espressioni e nei dialoghi, anche quelli taciuti, di chi ha vissuto la Romania dal 1967 al 1989, nell’epoca del sanguinario Nicolae Ceaușescu.

Il libro di Rejmer, che nelle sue pagine confessa l’attrazione e il legame stabilito in anni di viaggi con quella città tanto sfarzosa, esagerata, elegante quanto dura, cruda e violenta, non può essere considerato un semplice reportage: è un viaggio nel presente che non riesce a nascondere un passato che si ostina a rimanere lì, invadente, davanti agli occhi di chi vive Bucarest ogni giorno. Un passato con il quale in molti non vorrebbero più avere a che fare. Il simbolo di quegli anni di privazioni, violenze e sofferenza è rappresentato perfettamente dalla Casa del Popolo voluta dal dittatore comunista: un profluvio di marmi, cristalli, legni e stoffe pregiati mentre nella capitale le persone erano costrette in abitazioni minuscole, praticamente senza luce o riscaldamento e con il razionamento del cibo. Un gigante che nelle menti degli abitanti della capitale rumena era ancora più ingombrante delle 5.100 stanze di cui è composto, che osservava dall’alto i sudditi del dittatore con fare minaccioso. C’è chi quel palazzo lo avrebbe voluto distruggere, chi invece si è opposto alla sua vendita e chi, infine, ancora oggi evita di passarci vicino per non rischiare di vederlo.

Nelle storie raccolte dall’autrice si percepisce una memoria impossibile da cancellare, un lutto mai elaborato: i giovani portati in carcere e torturati per una denuncia supportata da nessuna prova, le famiglie disintegrate, le donne costrette ad aborti clandestini spesso fatali. Ma c’è anche chi quegli anni li rimpiange o chi quel processo farsa a Nicolae ed Elena Ceaușescu, con conseguente fucilazione, non lo ha mai accettato, una macchia indelebile sulla storia della nuova Romania, una resa dei conti che si è conclusa nel modo considerato più disonorevole. Una Romania, come spiegano artisti, studiosi, storici e anche comuni cittadini, che ha ucciso il suo dittatore senza mai compiere la propria rivoluzione.

Twitter: @GianniRosini