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Papa Francesco e il rifiuto di ‘benedire’ una delle parti: l’Ucraina non può decidere la pace da sola

Seimila è la cifra simbolica che in un certo senso marca tutta la difficoltà di ricondurre la vicenda ucraina ad un’analisi razionale. Sollevandola da quella che appare una cieca corsa verso l’escalation – incluso un incidente nucleare – per indirizzarla invece verso un cessate-il-fuoco come richiede papa Francesco. E come si preparano a chiedere le 400 organizzazioni e associazioni laiche e cattoliche con la manifestazione nazionale, che si terrà a Roma il 5 novembre.

Seimila è una cifra arrotondata. Perché l’11 settembre scorso un’agenzia Onu (che monitora la situazione in Ucraina) ha certificato che dall’inizio del conflitto sono state uccise 5.827 persone e 8.199 ferite, dati sono evidentemente basati su informazioni provenienti da Kyiv e dai territori occupati dai russi. E’ quasi certo che le perdite siano state più alte. Quanto? Mille, duemila in più? Se anche fossero ottomila, sarebbero una tragedia ma non quel “genocidio” che la guerra psicologica va propagandando. Non c’è dubbio che le truppe russe si siano macchiate di crimini, di cui dovranno rispondere. Ma è altrettanto indubbio che sin dall’inizio del conflitto si è sviluppata parallelamente una guerra psicologica mirante a marchiare la Russia come “male assoluto”. Dal momento in cui Bucha è stata registrata come un orrore, ogni fossa comune viene automaticamente presentata come un sepolcro di torturati.

Un caso eclatante è stata la scoperta nella zona di Pisky-Radkivski di una “scatola piena di corone dentali d’oro”. Ne scriveva tra gli altri Huffington Post, pubblicando foto e parole direttamente da un tweet del ministero della Difesa ucraino. “Una mini Auschwitz. Quante altre se ne troveranno nell’Ucraina occupata?”, è stato il commento istituzionale ucraino. Il richiamo è evidente: i russi come i nazisti, che nei lager strappavano i denti d’oro agli ebrei condotti nelle camere a gas.

Quarantott’ore dopo l’inviato della Bild Zeitung tedesca scopre il dentista della località: testimonia come i denti siano semplicemente di suoi pazienti e non sono affatto d’oro. Ma intano la notizia falsa ha fatto il giro del mondo e la notizia vera si perde per strada.

Sull’Avvenire, il giornale dei vescovi, il presidente della Comunità S. Egidio Marco Impagliazzo scriveva tempo fa che la “militarizzazione delle coscienze e il linguaggio bellicista (stanno trascinando tutti)… nel gorgo del bipolarismo dell’odio, in cui quello che conta non è capire e progettare il dopo ma schierarsi o addirittura tifare”. E’ per questo motivo che papa Bergoglio si rifiuta di “benedire” una delle parti in conflitto e non smette di invitare Zelensky a prendere in considerazione serie proposte di negoziato. Il pontefice, come d’altronde Henry Kissinger e Angela Merkel, ritiene che bisognerà anche pensare al momento in cui reinserire la Russia in un contesto europeo. Non è questa esattamente la linea del governo di Kyiv, se il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak indica come obiettivo della guerra “smilitarizzare e denuclearizzare” la Federazione russa.

Anche il presidente ucraino partecipa attivamente alla guerra psicologica. In maniera ossessiva Zelensky in tutti questi mesi è comparso in pratica quotidianamente in tutti i media e (da remoto) in ogni occasione di vertice internazionale e in ogni Parlamento occidentale e in ogni evento immaginabile, incluso i festival del cinema di Venezia e di Cannes – a dire cosa bisogna fare e non fare, a battere e ribattere su una sola narrazione: mettere in ginocchio la Russia e incrementare l’arrivo di armi sempre più potenti per assicurare la “vittoria”. Chi argomenta in modo diverso è filoputiniano o fa stupidamente il gioco di Putin o indebolisce l’Occidente. Quando una guerra è santa, non c’è nulla su cui discutere, nulla da analizzare, nulla da proporre. C’è soltanto da distruggere l’infedele, il Nemico assoluto.

In questo gorgo di irrazionalità papa Bergoglio nuota controcorrente e l’Unione europea si lascia trasportare passivamente verso un’escalation sempre più pericolosa senza che nessuno metta sul tavolo gli obiettivi di una pace possibile e i costi e benefici di una continuazione della guerra. La guerra santa esige che non si discuta del fatto – denunciato dal presidente francese Macron – che gli Stati Uniti vendano all’Europa il gas liquido ad un prezzo quattro volte superiore a quanto viene venduto sul mercato americano.

La guerra santa esige che non si rifletta sulle parole del presidente americano Biden, il quale ha definito Putin una persona “razionale”, ma che ha compiuto un grosso errore di calcolo scatenando la guerra. (Ma se Putin è razionale, perché allora non addivenire ad un cessate-il-fuoco e tentare di arrivare ad una soluzione razionale del conflitto?). La guerra santa esige, infine, che la Nato non voglia tenere conto di quelle che il Segretario di Stato vaticano cardinale Parolin ha definito le “legittime preoccupazioni” di tutte le parti.

C’è una distorsione di fondo nella narrazione di questo conflitto, narrazione secondo cui soltanto gli ucraini possono decidere quale sia il momento per fare pace. Ma è un controsenso. Esiste una co-belligeranza tra Occidente e Ucraina, in cui Kyiv paga pesantemente in termini di perdite umane e materiali sul campo e l’Europa paga pesantemente in termini economici. Senza questa alleanza Kyiv non potrebbe fare un passo. E allora si decide insieme. E si coglie insieme l’occasione di una tregua per valutare congiuntamente le scelte migliori da farsi.

Entrare nel merito dei problemi (Crimea, Donbass) – afferma l’Avvenire in un editoriale – non significa abbandonare Zelensky, “ma fargli intendere che non può interpretare il sostegno dell’Occidente come avallo a ogni intransigenza e al rifiuto di chiudere la guerra”. In Europa si fa strada l’interrogativo se la strategia dell’escalation degli armamenti e del fomentare sempre più odio sia quella giusta. In Italia si è molto sensibili sull’argomento. E negli Stati Uniti si profila la domanda se il conflitto russo-ucraino possa consistere in un “assegno in bianco” fornito a Kyiv.