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35 anni fa veniva ucciso Thomas Sankara, ‘Che Guevara d’Africa’ che si ribellò alla “dittatura finanziaria” delle ex potenze coloniali

Il militare del Burkina Faso basò la sua rivoluzione sulla riduzione delle differenze salariali, le imponenti campagne di vaccinazione e alfabetizzazione, ma anche su cultura, ambiente e diritti delle donne. Ma al centro di tutto vi erano la lotta al neoliberismo imposto dal Fmi e la richiesta alle ex colonie africane di non pagare il debito contratto con l'Occidente

Morì a soli 37 anni, colpito dai proiettili dei militari che ne rovesciarono il governo. E con lui morì la sua rivoluzione in Burkina Faso, durata appena quattro anni. Il 15 ottobre 1987, 35 anni fa, Thomas Sankara, il Che Guevara d’Africa, venne ucciso insieme a 12 tra collaboratori e uomini della scorta. Tradito dal suo braccio destro, Blaise Compaoré, che ne prese il posto instaurando una dittatura durata ben 27 anni. Il sogno di Sankara, quello di un Burkina Faso veramente indipendente e di un’Africa libera, finì nel sangue appena poche settimane dopo un celebre discorso in cui gelò i creditori internazionali proponendo a tutti gli Stati africani di non pagare il loro debito, ritenuto ingiusto e immorale.

Parole che lo stesso Sankara sapeva essere non prive di conseguenze, come spiegò profeticamente: “Se solo il Burkina Faso si rifiuta di pagare, non sarò qui al prossimo incontro”. Eppure, 35 anni dopo, la sua figura non è stata affatto dimenticata, come dimostra la recente condanna all’ergastolo per Compaoré, dopo un golpe e l’esilio in Costa d’Avorio sotto la protezione della Francia. Condanna che molti sperano venga rispettata, nei giorni in cui un nuovo colpo di Stato ha portato al timone del Burkina Faso il capitano Ibrahim Traoré. Tra rigurgiti anti-francesi e nuove influenze russe.

L’ASCESA DI SANKARA –Nato il 21 dicembre 1949 a Yako, in quello che allora si chiamava Alto Volta – una colonia francese incastonata nell’Africa subsahariana occidentale che la madrepatria sfruttava come bacino di reclutamento di manodopera sia per le piantagioni dei vicini Mali e Costa d’Avorio, sia a fini militari, con un’aspettativa media di vita di 44 anni e un tasso d’analfabetismo che sfiorava il 100% – Thomas Isidore Noël Sankara ebbe la fortuna di studiare, frequentando il liceo e l’accademia militare.

Nel 1981, accettato l’incarico di segretario di Stato per l’Informazione nel governo di Saye Zerbo, si dimise dopo solo due mesi, denunciando corruzione e abusi: per questo fu arrestato. Due anni dopo, con un cambio di regime, la coalizione di militari salita al governo lo nominò primo ministro. In tale veste Sankara, di ispirazioni marxiste, aderì al Movimento dei Paesi non allineati di cui facevano parte, tra gli altri, l’Egitto di Nasser e la Jugoslavia di Tito. Sempre da primo ministro, il giovane Sankara si avvicinò a Paesi come Cuba e Libia, con la quale strinse accordi di cooperazione economica e militare sotto la presidenza del colonnello Muammar Gheddafi.

Un passo non gradito anche a molti esponenti del suo governo, stanchi delle sue idee rivoluzionarie e dei suoi comizi contro i “nemici del popolo” e “gli oppressori dei Paesi del Terzo mondo”: il 17 maggio 1983 venne nuovamente arrestato insieme ai maggiori esponenti dell’ala progressista dell’esercito. In pochi giorni le strade della capitale Ouagadougou si riempirono di manifestanti che chiedevano la scarcerazione di Sankara, scandendo slogan contro la Francia, ritenuta responsabile del golpe. Rilasciato a furor di popolo, il 4 agosto 1983 Sankara – alla guida di un gruppo di militari progressisti e con il sostegno di buona parte dei cittadini – prese il palazzo presidenziale, la radiotelevisione e il quartier generale della gendarmeria, facendo arrestare il presidente Ouèdraogo. La sera stessa annunciò il cambio di regime, al grido di “La Patria o la morte, vinceremo” di guevariana memoria.

LA RIVOLUZIONE –La rivoluzione di Sankara mutò profondamente il Paese africano. Dalla lotta alla corruzione alla riduzione delle differenze salariali, passando per le imponenti campagne di vaccinazione e alfabetizzazione, l’azione del “presidente ribelle” migliorò notevolmente le condizioni di vita delle masse popolari. Senza tralasciare cultura, ambiente e diritti delle donne, che per Sankara erano “doppiamente sfruttate, dall’imperialismo e dall’uomo”: vennero aboliti matrimoni forzati e poligamia, introdotti divorzio e parità di genere, combattendo le mutilazioni genitali femminili e facendo salire le donne ai vertici dell’amministrazione.

Ma gli interventi più scomodi del suo governo, sorretto dai partiti di sinistra, furono nella politica economica, volta a raggiungere l’autosufficienza contrastando le politiche di sviluppo neoliberiste imposte dal Fondo monetario internazionale, ritenute “criminali e assassine”. Allo stesso modo, Sankara tentò di recidere i legami con la Francia – da cui la repubblica voltaica si era resa indipendente nel 1960, ma solo formalmente – e con le altre potenze straniere accusate di “dominazione economica e culturale”: nel 1984 cambiò addirittura il nome del suo Paese, ribattezzandolo Burkina Faso (nelle lingue locali “Il Paese degli uomini integri”).

Nonostante lo sviluppo pianificato e l’aumento degli investimenti pubblici, Sankara non riuscì però ad affrancarsi dai programmi di aggiustamento strutturale del Fmi e dal franco Cfa, la moneta stampata in Francia considerata “un’arma per la dominazione degli africani”. Ma l’ostacolo maggiore fu costituito dal debito estero, di 794 milioni di dollari nel 1987. Il 29 luglio dello stesso anno, in un celebre discorso davanti ai membri dell’Oua (Organizzazione per l’unità africana) ad Addis Abeba, Sankara, da panafricanista convinto, propose un fronte comune con gli altri Paesi del continente. “Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo, noi non possiamo rimborsarlo perché non siamo responsabili”, queste le sue parole. “Il debito nella sua forma attuale è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono estranee e che ognuno di noi diventi uno schiavo finanziario di chi ha investito da noi”. Il pomeriggio del 15 ottobre 1987 venne ucciso. Alla moglie, che si rifugiò in Mali con i due figli, fu negato di provvedere alla sepoltura, avvenuta senza celebrazioni.

DA COMPAORE’ A OGGI – Blaise Compaoré, ex compagno d’armi e amico di Sankara, si insediò subito al suo posto, “rettificando” drasticamente la rivoluzione progressista. Senza mai mettere in discussione i rapporti di forza con le potenze straniere, Compaoré è rimasto al potere per 27 anni, fino al 31 ottobre 2014. Il 6 aprile 2022, dopo decennali tentativi di insabbiamento, la giustizia burkinabé ha condannato gli esecutori materiali dell’assassinio di Sankara. Compaoré, anche se esiliato in Costa d’Avorio, è stato condannato all’ergastolo come mandante.

Lo scorso luglio, su invito del colonnello Paul-Henri Damiba – salito al potere con un colpo di stato il 24 gennaio di quest’anno – Compaoré è rientrato in Burkina Faso scusandosi con il popolo burkinabé e con la famiglia Sankara per l’omicidio del Che Guevara d’Africa, perseguendo una maldestra “riconciliazione nazionale”. Anche questo, insieme al timore di una grazia presidenziale alle porte, è alla base del malcontento esploso poche settimane fa nel Paese africano, dove un nuovo golpe ha disarcionato Damiba a vantaggio del capitano 34enne Ibrahim Traoré. Una situazione confusa, nata non solo dalle proteste contro la situazione economica, sanitaria e di sicurezza (vaste porzioni del Paese sono controllate da miliziani jihadisti), ma anche contro la Francia e i suoi militari. Dall’ambasciata francese in fiamme alle parole di Traoré (“Guardiamo a nuovi partner”), quello che sta avvenendo sembra un passaggio di testimone da Parigi a Mosca, la cui bandiera è comparsa in molte piazze durante l’ultimo colpo di Stato.