Politica

Festa del Fatto, Conte: “Il Pd ha fatto errori politici, pensa di avere il monopolio del progressismo. Meloni? Di Fdi temo l’incapacità di governare la complessità”

Chiara Appendino e il leader del Movimento 5 Stelle intervistati da Antonio Padellaro e Peter Gomez alla Casa del Jazz di Roma. L’ex sindaca di Torino: “La scissione di Di Maio? Non una tragedia ma un momento di salvezza e chiarezza politica”. L'ex premier: "Noi non blocchiamo il dl aiuti, anzi lo votiamo". E ha detto che i 5 stelle non voteranno il rinnovo della risoluzione che autorizza l'invio di armi in Ucraina: "L'Italia non è in condizione di sopportare un nuovo sforzo bellico, siamo in recessione". Sulle strategie belliche ha aggiunto: "Ci avviamo verso decenni di una cortina di ferro che contrappone il fronte occidentale a Russia, Cina, India e resto del mondo. E i numeri sono tutti a favore dell'altra parte"

Il Pd? “Ritiene di avere il monopolio della proposta progressista, ma ha fatto enormi errori politici: progressista è chi il progressista fa”. Giorgia Meloni presidente del consiglio? “Non ne faccio una questione di neofascismo, ma io di questa destra temo l’inadeguatezza delle risposte, l’incapacità di governare la complessità”. I rapporti con gli alleati atlantici e la guerra? “Questa furia bellicista non sta funzionando quindi adesso Londra e Washington dovrebbero ascoltarci perché siamo alleati di pari dignità”. Parola di Giuseppe Conte, il leader del M5s che è intervenuto alla festa de il Fatto Quotidiano a Roma. Ospite dell’incontro “Cosa vogliono i 5 stelle anche l’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, candidata alla Camera dei deputati alla politiche del 25 settembre. A moderare il dibattito il direttore de ilfattoquotidiano.it e di FqMillenniuM, Peter Gomez, e il fondatore e primo direttore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro.

I rapporti col Pd: “Sono rimasti fuorviati dai titoli di giornale” – Primo tema del dibattito il rapporto col Pd, alleato fondamentale del secondo governo di Giuseppe Conte fino alla rottura avvenuta nel day after della caduta del governo Draghi. “Il dialogo coi dem poteva funzionare nel rispetto dell’autonomia e della pari dignità. Ma il Pd ritiene di avere il monopolio, l’egemonia dell’interpretazione della proposta progressista, la sinistra c’est moi“. E invece il M5s è “una forza innovatrice del sistema politico, che non può mai accettare la logica ancillare, cioè di portare acqua a qualcuno“, ha detto l’ex premier riferendosi al Movimento. E’ per questo che l’alleanza si è rotta? “Noi – ha detto Conte – potevamo metterci a un tavolo per provare a presentare agli elettori un programma congiunto, ma magari non avremmo trovato la quadra. Purtroppo invece gli amici del Pd, o ex amici, hanno letto un po’ troppo i titoli dei giornali e sono rimasti fuorviati: hanno letto che il centro era al 15%, hanno letto che l’astro nascente del M5s era Luigi Di Maio, che il vero Movimento era nella scissione che stava facendo Di Maio, hanno abbracciato la prospettiva di un cartello in cui c’era di tutto: Di Maio, Carfagna, Tabacci. Questi sono errori politici“. Un passaggio sull’uscita di Luigi Di Maio lo ha fatto anche Appendino, che è nei 5 stelle dal 2010. “La scissione? Non è stata una tragedia ma un momento di salvezza e chiarezza politica. Anche io mi sono chiesta a un certo punto: voglio stare ancora nel Movimento? Ne ho ancora voglia dopo cinque anni da sindaca di Torino? Credo che chi ha deciso di uscire abbia deciso di guardare da altre parti e magari anche al suo percorso personale“.

“Fdi? Non è una questione di neofascismo ma incapacità” – Tornando al rapporto coi dem, invece, Conte ha rivendicato ancora una volta di portare avanti un’agenda progressita, a differenza dell’ex alleato Enrico Letta. Che di quell’agenda prograssista, invece, sostiene di essere monopolista: “Oggi i dem si offendono e dicono: i progressisti siamo noi gli altri sono usurpatori. Ma io non ho fatto il Jobs Act, non ho fatto la Fornero. Io mi sono preso insulti che quasi non potevo uscire di casa perché ho chiesto a Draghi: mettiamoci a un tavolo e discutiamo, qui la situazione è tragica. Dov’era lì il Pd in quei giorni?”. Sul fronte opposto, invece, è Giorgia Meloni che – stando a tutti i sondaggi – potrebbe presto essere chiamata a entrare a Palazzo Chigi. “Dobbiamo ancora votare, non ha ancora vinto”, ha detto Conte, spiegando che di Fratelli d’Italia teme “l’inadeguatezza sulle risposte, sulle ricette, l’incapacità di governare nella complessità. Non mi auguro che il Paese sia governato da Fratelli d’Italia e da Meloni, che ha detto cinque volte no al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un Piano che ha detto che ora vorrebbe gestire”. Sull’ipotesi di un governo di unità nazionale a guida Fdi dopo le elezioni, l’ex premier è tornato a ripetere che “non è che Meloni può invocare l’aiuto di tutti. E’ chiaro che tutti faremo la nostra parte per il Paese, ma se Giorgia Meloni si candida a governare e dovesse vincere governerà il paese”. Conte però ci ha tenuto a sottolineare di non volerne fare “una questione di neofascismo, nessuno si può permettere di distrubuire patenti di legittimazione democratica. La legittimazione viene col voto democratico dei cittadini. Ma io penso che questa destra non riuscirà a governare la complessità del Paese”. “Meloni fa politica da più di vent’anni: tutte queste cose che dice di voler fare ora perché non le ha fatte in più di vent’anni?”, si è chiesta invece Appendino.

“Non blocchiamo il dl Aiuti, noi lo votiamo” – Sul dibattito parlamentare in corso sul decreto Aiuti bis, invece, Conte è tornato a replicare a chi accusa i 5 stelle di bloccare miliardi di sussidi alle famiglie: “Noi blocchiamo il dl aiuti? È una concertazione diffamatoria, noi lo votiamo non siamo mica pazzi. I decreti legge – ha spiegato – entrano immediatamente in vigore, quindi il 9 agosto sono entrati in vigore con l’erogazione dei fondi, noi non abbiamo bloccato nulla e il provvedimenti scade il 9 ottobre”. L’ex premier ha poi attaccato il governo che “sta facendo la guerra al superbonus ma noi non permetteremo che 30-40 mila imprese finiscano sul lastrico” per colpa delle “modifiche introdotte dal governo che hanno reso più farraginoso il meccanismo del superbonus e la circolazione dei crediti fiscali”. Su Draghi ha aggiunto: “Non si può dire: datemi il voto in Consiglio dei ministri e poi noi sappiamo cosa fare, non è così che può funzionare”. Ma i 5 stelle avrebbero dovuto ritirare prima la fiducia al governo dell’ex presidente della Bce? “Chi ha una responsabilità politica deve distinguere qualche insoddisfazione, che in certi casi è anche giustificabile, dalla visione e dall’interesse generale”.

“No a un nuovo invio di armi” – Spazio anche al dibattito sulla guerra in Ucraina e ai rapporti con gli alleati atlantici. “Questa furia bellicista non sta funzionando quindi adesso Londra e Washington dovrebbero ascoltarci perché siamo alleati di pari dignità”. E a proposito delle armi a Kiev ha sottolineato che i 5 stelle non voteranno il rinnovo della risoluzione approvata lo scorso marzo dal Parlamento che autorizza l’invio di armi fino al 31 dicembre prossimo. “L’Italia non è in condizione di sopportare un nuovo sforzo bellico, siamo in recessione“, ma questo non significa “che ci disallineiamo” dall’alleanza atlantica ma che dobbiamo puntare sulla “capacità di dialogo dell’Italia a favore di un negoziato di pace”. Quindi ci ha tenuto a sottolineare che “il M5s non ha nulla a che fare con gli amici di Putin e se qualcuno si è permesso di scrivere che potevamo avere qualche suggestione di questo tipo, lo ha fatto calunniandoci“. E ha aggiunto: “Da presidente del Consiglio ho studiato tantissimo i dossier; ho parlato a lungo con Putin sull’attuazione degli accordi di Minsk, delle violazioni che Ucraina e Russia si rinfacciavano reciprocamente. Ma ora non scendo nel dettaglio perché mi sono beccato del filo-putiniano o del filo-trumpiano per molto meno. Io ho solo per aver cercato di dare una prospettiva al negoziato di pace e se adesso, in campagna elettorale, provassi a fare una ricostruzione storica, sarebbe molto insidioso”. “Ma perché non viene preso mai in considerazione un percorso che porti alla fine della guerra? Ci sono degli interessi?”, ha chiesto Padellaro in chiusura. “E’ chiaro che in questi casi tutti gli apparati industriali del settore della Difesa intravedono la prospettiva di crescere. Sono delle lobby fortemente compenetrate nelle strutture dello Stato. Ma poi – ha aggiunto Conte – c’è anche la responsabilità dei governanti, l’incapacità di vedere cosa succederà”. E cosa succederà secondo l’ex premier? “Questa strategia ci sta portando verso decenni di una cortina di ferro diversamente modulata rispetto al passato. Da un lato tutto il fronte occidentale, dall’altro Russia, Cina, India e resto del mondo. E i numeri della popolazione, del Pil, sono tutti a favore dell’altra parte. Una contrapposizione del genere non può garantire pace e sicurezza, quando avvii quel binario poi scardinarlo è difficilissimo”.