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Il drone turco Bayraktar è il più esportato al mondo: fa parte della strategia di Erdoğan per allargare la sua influenza internazionale

Questo ha garantito all'azienda produttrice Baykar ricavi pari a 664 milioni di dollari nel 2020, permettendole di superare per valore dell’export persino l’azienda pubblica Turkish Aerospace Industries. Un record importante che la Baykar potrebbe battere in futuro grazie a nuovi contratti e alla messa in commercio del Kizilelma, un nuovo drone dotato di un motore jet in grado di raggiungere la velocità supersonica. Intanto, però, l'inflazione nel Paese raggiunge l'80%

In meno di una settimana sono arrivate dalla Turchia due notizie di segno opposto, ma collegate tra loro. Il Bayraktar TB2, il drone prodotto dall’azienda del genero del presidente Recep Tayyip Erdoğan, è diventato il velivolo senza pilota più esportato al mondo, mentre l’Istituto di statistica ha reso noto che l’inflazione nel Paese ha superato l’80%. Questi due record dicono molto sulle priorità del governo Erdogan e sulle politiche che il presidente ha deciso di perseguire tanto in patria quanto all’estero negli ultimi anni e i cui effetti saranno decisivi in occasione delle elezioni del giugno 2023.

La prima notizia è stata data alla stampa da Anadolu Haluk Bayraktar, amministratore delegato della Baykar, che non solo ha reso noto il primato raggiunto dal TB2, ma ha anche specificato che le esportazioni rappresentano ormai il 98% della produzione dell’azienda grazie ai numerosi contratti siglati con 24 clienti diversi. Ad oggi, la Baykar ha venduto 400 esemplari di TB2 e 20 di Akinci, ma non tutti i nomi dei suoi acquirenti sono stati resi noti. Ufficialmente, i droni della Baykar sono in dotazione alle forze armate turche – tra Marina, Aeronautica, gendarmeria, polizia e intelligence – e il maggior acquirente estero è l’Ucraina, le cui forze armate hanno a disposizione almeno 64 esemplari di Bayraktar TB2. Ma la lista comprende anche Azerbaigian, Turkmenistan, Kirghizistan, Iraq, Etiopia, Niger, Gibuti, Togo, Burkina Faso, Ruanda, Marocco, Libia, Qatar e Polonia, mentre i Paesi in attesa di mettere mani sui TB2 sono Indonesia, Nigeria, Oman, Angola, Kazakistan, Ungheria, Lettonia, Slovacchia, Albania, Bulgaria, Lituania e Finlandia. Recentemente, anche la Romania ha espresso interesse verso l’acquisto dei droni turchi.

Questo giro d’affari ha garantito alla Baykar ricavi pari a 664 milioni di dollari nel 2020, permettendole di superare per valore dell’export persino l’azienda pubblica Turkish Aerospace Industries. Un record importante che la Baykar potrebbe battere in futuro grazie a nuovi contratti e alla messa in commercio del Kizilelma, un nuovo drone dotato di un motore jet in grado di raggiungere la velocità supersonica, a bassa rilevabilità radar e pensato per atterrare e decollare da navi con piste corte.

Ma i prodotti dell’azienda turca non sono importanti solo dal punto di vista commerciale. Erdogan ha saputo tradurre il successo dei droni della Baykar in uno strumento di espansione della propria influenza all’estero, soprattutto nel contesto africano. Diversi governi del continente hanno trovato nei velivoli senza pilota un utile strumento per combattere i gruppi armati attivi nei propri territori e il loro interesse si è diretto verso i droni turchi, meno costosi e più facili da utilizzare rispetto a quelli americani o israeliani.

Questa proliferazione dei prodotti della Baykar però ha messo in allarme il Congresso americano. A luglio, alcuni deputati hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta per capire come mai alcune componenti di produzione americana siano state utilizzate per la realizzazione dei TB2 e per accertarsi che ciò non comporti una violazione delle leggi sull’export o di sanzioni sui prodotti militari. Come affermato dal deputato Tony Cardenas a ProPublica, dare una risposta a queste domande è diventato ormai necessario visto il ruolo destabilizzante che la vendita dei droni turchi sta avendo in determinati scenari, soprattutto in relazione al rispetto dei diritti umani.

Ma l’utilizzo di componenti americane nei TB2 è interessante anche per un altro motivo. L’azienda pubblicizza i suoi droni come prodotti realizzati quasi esclusivamente a livello domestico, per cui la presenza di pezzi realizzati negli Usa, in Ue e in Canada incrina in parte la narrazione della Baykar. Un dettaglio rilevante se si considera che Erdogan ha fatto del raggiungimento dell’autonomia dell’industria della difesa turca – pubblica e privata – uno dei suoi obiettivi più importanti. Il presidente punta a ridurre il più possibile la dipendenza dall’estero e a non avere limitazioni nell’export dei prodotti bellici realizzati nel Paese, con ricadute positive sulle capacità di espansione geopolitica della Turchia. Erdogan infatti ha più volte dovuto rinunciare alla vendita di alcuni armamenti a causa del veto degli Usa o di altri Paesi occidentali che hanno partecipato alla realizzazione del prodotto da esportare, perdendo non solo importanti commesse ma anche occasioni per espandere la propria influenza. Da qui la scelta di investire nella creazione del primo caccia indigeno di quinta generazione, il TF-X, e dell’addestratore avanzato ed aereo d’attacco leggero, l’Hürjet, e di aumentare il budget della Difesa. Nel 2019 i fondi per questo settore sono stati pari a 20,5 miliardi di dollari e dopo una leggera flessione nel periodo 2020-21 si prospetta un nuovo incremento per i prossimi due anni. Un aumento che andrà anche a vantaggio delle aziende private o pubblico-private attive nel settore bellico, data l’intenzione del governo di acquistare il più possibile armi e armamenti prodotti localmente.

Tutto ciò però avviene mentre l’inflazione supera ufficialmente la soglia dell’80% e i prezzi dei beni di prima necessità e dell’energia continuano a crescere, erodendo il potere d’acquisto dei cittadini e accrescendo il numero di persone sotto la soglia di povertà. Per Erdogan, però, al momento la priorità sembra essere l’espansione della Turchia in campo geopolitico.