Diritti

Ancona, migranti pakistani ammassati vicino alla Questura: “Abbiamo fatto un lungo viaggio e chiediamo soltanto di essere accolti”

Prefettura e Comune del capoluogo marchigiano non hanno posti disponibili nei loro progetti e la situazione diventa sempre più difficile a causa della alte temperature. Il prefetto Darco Pellos al fattoquotidiano.it: “Non siamo insensibili al problema e faremo di tutto per risolverlo"

I cartoni a terra, un materasso appeso sul ramo di un albero, i resti di cibo e bevande sparsi nel giardino pubblico di una scuola. Il tutto a due passi dall’ingresso della questura di Ancona. Da giorni una trentina di migranti pakistani, arrivati nel capoluogo dopo mesi di cammino, sono costretti a bivaccare all’aperto in attesa di ricevere accoglienza dalle istituzioni locali. Prefettura e Comune di Ancona, rispettivamente competenti sul tema, non hanno posti disponibili nei loro progetti, dai Cas (Centri di accoglienza straordinari) prefettizi agli ex Sprar dell’amministrazione comunale. Il resto lo fa l’attività della questura che deve fotosegnalare i soggetti in questione attraverso appuntamenti che però spesso vengono posticipati. Le istituzioni si guardano attorno, cercano conforto l’una nell’altra, ma intanto trenta esseri umani sono costretti a vivere in condizioni indicibili per una società moderna: “Non siamo insensibili al problema, ci mancherebbe altro, e faremo di tutto per risolverlo, spiega il prefetto di Ancona Darco Pellos. Alla luce della nuova emergenza ho fissato una riunione d’urgenza per domattina alla presenza di tutti gli attori coinvolti. Purtroppo per le risorse che abbiamo e soprattutto per i progetti di accoglienza disponibili, non riusciamo a soddisfare tutti. Prima l’emergenza Ucraina, adesso è tornato forte l’allarme Mediterraneo e proprio l’altro giorno abbiamo avviato una ventina di progetti per migranti subsahariani. Cercheremo di farci carico anche di quel gruppo di migranti”. Per giorni nessuno si è occupato di queste persone. Arrivate nel capoluogo delle Marche dopo un lungo percorso attraverso i Balcani, dall’inizio di luglio hanno iniziato ad aumentare e deciso di stabilirsi all’aperto, a fianco del muro di cinta della questura.

Ieri sera, per la prima volta, il Servizio di Strada, una onlus di Ancona che si occupa del sostegno ai senza fissa dimora, ha portato generi di primo conforto, cibo e acqua, ma anche coperte per dormire e qualche abito: “Sono tanti e non hanno beni di supporto, staremo loro vicini nei prossimi giorni assieme alla Mensa del Povero”. La macchina si è messa in moto, ma il problema è che nell’immediato non esiste una soluzione abitativa dignitosa per loro. Posti nei progetti di accoglienza non ce ne sono, così come non ci sono letti o brande disponibili nel centro di accoglienza per senza fissa dimora della città. Con pioggia, grandine, caldo, sole e umidità, trenta uomini vivono accampati in un quartiere residenziale di Ancona senza poter utilizzare un bagno degno di questo nome, senza potersi lavare. Le loro giornate sono sempre le stesse: per ore in fila davanti al gabbiotto della questura per chiedere conto della loro situazione, per chiedere lo status di richiedente asilo: “Ogni volta che arriva il nostro turno ci dicono di tornare – raccontano i migranti pakistani -, succede sempre così. Vogliamo ciò che ci spetta, nulla di più. Stiamo aspettando un segnale, chiediamo soltanto di essere accolti secondo le norme e di veder accettata la domanda di richiesta di asilo e di protezione internazionale. A questo dovrebbe seguire un’accoglienza, un posto dove poter dormire e vivere. Siamo disperati, da giorni qui davanti senza nessuno a darci una mano, un sostegno”. Le regole d’ingaggio sono più complesse di quanto loro immaginino e la questura non ha competenza in fatto di accoglienza e asilo politico, se non quella di effettuare i fotosegnalamenti propedeutici poi all’avvio delle pratiche per la richiesta d’asilo e di protezione, quando possibile. Una strada tutta in salita per loro, molto più difficile rispetto a quanto accaduto ai profughi ucraini, sebbene si tratti di due emergenze molto diverse tra loro. In Pakistan non è in corso un conflitto bellico, ma le condizioni sociali da decenni sono pessime e per questo ogni anno migliaia di persone lasciano il Paese per intraprendere un drammatico cammino migratorio: “Abbiamo fatto un lungo percorso per arrivare fin qui – raccontano – durato per svariati mesi dal Pakistan all’Italia passando per l’Iran, la Turchia, la Grecia e poi lungo la rotta balcanica. Siamo stanchi e chiediamo soltanto di essere accolti. Non credo che potremmo andare avanti ancora a lungo vivendo in queste condizioni”.