Diritti

Yusupha Joof arso vivo nel ghetto di Rignano, altro che alberghi di lusso per i migranti

di Paolo Di Falco

Occhi grandi, lucidi con un sorriso sul volto perché, così come c’era scritto nella baracca accanto alla sua “Is good to be happy” cioè “è bello essere felici”. L’unico rimpianto è che il suo volto potremo ormai guardarlo solamente su questa foto perché lui, qualche giorno fa, è arso vivo all’interno della “sua casa” a Rignano Garganico (Foggia) o meglio, all’interno di quelle quattro lamiere dove viveva e dove vivono molti dei braccianti grazie ai quali la frutta e la verdura arriva sulle nostre tavole. Si chiamava Yusupha Joof, era originario del Gambia e aveva solamente 35 anni e purtroppo, anche per colpa nostra, non sorriderà più. La sua baracca si trovava, pensate un po’, all’interno di quello che viene conosciuto come il “ghetto di Rignano” dove vivono più di 1.500 persone che lavorano come braccianti nei campi foggiani. Pensare che in un Paese come il nostro ci siano ancora dei ghetti fa male, così come fa altrettanto male che quest’ultimi saltino alle cronache solamente quando accade qualche tragedia come questa.

Yusupha fa parte di quell’esercito di migranti irregolari che, secondo un numero abbastanza sottostimato, nel 2018 contava circa 164.000 migranti grazie ai quali tutti i giorni i meloni, i pomodori arrivano nei nostri supermercati e sulle nostre tavole. Meloni, pomodori che vengono raccolti grazie al loro sudore, alla loro fatica in cambio di una manciata di spiccioli: una raccolta che non conosce orari, pause o alte temperature. Lavoro, lavoro, lavoro: non ce la fai a reggere uno sforzo così enorme? Non importa, continua a lavorare. Ti accasci a terra dentro le serre che d’estate diventano dei veri e propri forni? Non importa, si continua a lavorare. E d’altronde, nonostante la nostra indifferenza fa da padrona, li vediamo anche noi dai finestrini delle nostre auto i tanti braccianti, sempre chini con a fianco diverse gabbiette da riempire impilate l’una sull’altra. L’unica differenza è che noi, sotto gli oltre 40° all’ombra, siamo all’interno della nostra macchina con l’aria condizionata al massimo, mentre loro sotto il sole senza nessun tipo di tutela e così disperati da dover accettare queste assurde condizioni di lavoro.

Così come ha detto il sindacalista Aboubakar Soumahoro in un video che mostrava la baracca carbonizzata dove ha perso la vita Yusupha: “Tanti discorsi mentre la miseria e lo sfruttamento dei braccianti va avanti, chiamati a salvare la verdura e la frutta nelle campagne e privi di permesso di soggiorno, chiamati a spaccarsi la schiena nelle campagne e senza residenza, chiamati a spaccarsi la schiena nelle campagne senza un salario dignitoso”. In questa grande contraddizione, nonostante i soldi stanziati per via della politica agricola comune dell’Unione Europea siano aumentanti raggiungendo un totale complessivo di 408,313 miliardi di euro (2014-2020), succede che i braccianti siano costretti a vivere senza alcun tipo di diritto, in condizioni precarie e senza un salario adeguato. Ecco, tutto questo però vorrei ce lo ricordassimo tutte le volte che dalle strade e dalle autostrade vediamo in lontananza questi orribili ghetti moderni, tutte le volte che in mezzo ai campi vediamo questi poveri braccianti a cui non siamo stati capaci di garantire neanche un lavoro dignitoso e tutelato, tutte le volte che sentiamo pronunciare i soliti slogan da campagna elettorale, del tipo: “gli immigrati vengono ospitati in alberghi di lusso”, “vengono qui per invaderci”, “vengono qui perché non vogliono lavorare”

Andate a vedere l’albergo di lusso dove è morto Yusupha, andate nei campi e vedeteli lavorare chini sotto al sole e senza le tutele minime che ogni Paese dovrebbe garantire a qualsiasi lavoratore, andate a vedere gli uomini e le donne senza i quali quei meloni estivi che ci piacciono così tanto non arriverebbero sulle nostre tavole.

Ricordiamoci di Yusupha e di tutti quei braccianti quando facciamo la spesa, quando tagliamo quei pomodori rossi come il troppo sangue versato nei nostri ghetti dove, il 17 dicembre del 2021, morirono arsi anche i due fratellini rom bulgari di quattro e due anni, Christian e Birka, quando mangiamo quella lattuga che prima di mettere nelle nostre insalate sciacquiamo dal loro sudore. Ricordiamoci di loro quando siamo seduti a tavola a pranzare o cenare all’interno delle nostre stanze rinfrescate dall’aria condizionata pensando che in fondo sì, è bello essere felici peccato Yusupha non potrà più esserlo.