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Assalto a Capitol Hill, inizia il processo politico a Trump e lui ribalta le accuse a suo favore

Dopo il processo Johnny Depp contro Amber Heard, il palinsesto televisivo dell’estate ci riserva quello politico contro Donald Trump, per l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Sono iniziate ieri, in diretta tv, le audizioni pubbliche della commissione d’inchiesta della Camera statunitense, formata da avversari politici di Trump (sette democratici e due repubblicani ostili all’ex presidente) sull’attacco al Campidoglio degli Stati Uniti ad opera dei suoi sostenitori. Le accuse emerse dalle prime ore di audizione sono gravissime: c’è Trump dietro all’assalto. È tutto frutto di un piano di cui faceva parte, per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020. Questo nonostante sapesse di aver realmente perso contro Biden, come ammesso dalla stessa figlia di Trump, Ivanka. Mentre i Repubblicani su Twitter reputano le notizie prive di reale interesse perché “vecchie”, Trump intravede una nuova opportunità per accumulare consenso.

Lo fa attraverso la tecnica del reframing, che consiste nel cambiare il modo di chiamare le cose per dar loro un nuovo significato, positivo per se stessi. Un esempio recente è “l’operazione militare speciale per demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina, con cui Putin chiama la guerra che ha scatenato. Il ragionamento di Trump è il seguente: i miei avversari dicono che sto dalla parte degli assalitori? Certo. Ma non sono una banda di teppisti, quello di Capitol Hill è il “più grande movimento nella storia del nostro Paese”. Questo ha scritto nel suo bunker personale online, il “social” Truth. “La commissione non scelta – ha scritto Trump riferendosi alla commissione parlamentare che lo accusa – non ha speso un minuto per studiare la ragione che ha portato il popolo ad andare a Washington, in numeri enormi, molto più di quanto i fake news media siano disposti a riportare. Non è stata solo una protesta, ha rappresentato il più grande movimento della storia del nostro paese per rendere di nuovo grande l’America. Riguardava elezioni truccate e rubate, e riguardava un paese che stava per andare all’inferno, e guardate ora il nostro paese”, osserva Trump.

Così Trump tenta di ribaltare a suo favore le accuse, invitando la sua fetta di America a guardare agli assalitori del congresso come degli eroi, impegnati in una guerra per ristabilire la verità, difendere la democrazia e la nazione. Attenzione però: nonostante il tycoon dia tutto il suo appoggio ai manifestanti, nega di aver preso parte al piano. Trump ha infatti accusato la speaker della camera Nancy Pelosi e la sindaca di Washington D.C. Muriel Bowser di aver rifiutato la sua proposta di “dispiegare sino a ventimila soldati della guardia nazionale, o soldati, perché si sapeva che ci sarebbe stata una folla molto grande”. “Se avessero accettato l’offerta, non ci sarebbe stato alcun 6 gennaio”, ha dichiarato. Anche l’audizione di Robert Engel, il capo dei servizi segreti che proteggevano Trump nel periodo dopo le elezioni, sembra confermare l’appoggio dell’allora presidente al “movimento”, ma non la partecipazione al piano. Engel testimonia che Trump avrebbe ordinato all’auto che lo trasportava di andare a Capitol, durante la protesta. Lo stesso 007 avrebbe convinto il presidente a rinunciare all’idea.

Trump si è fatto alcuni calcoli sulla comunicazione da adottare. Un conto è appoggiare un movimento popolare spontaneo, dopo avergli cambiato la cornice – da banda di teppisti a salvatori della patria -, un altro è cospirare nell’ombra per restare al potere, con un piano che la deputata Liz Cheney (repubblicana avversa a Trump) avrebbe calcolato in “sette punti”. Se Trump dovesse riuscire a invertire la narrazione dei fatti di Capitol Hill, facendo passare quello del 6 gennaio 2021 come un movimento di patrioti, otterrà un vantaggio dall’inchiesta in termini di consensi. I molti suprematisti bianchi accorsi nella capitale statunitense per difendere Trump potrebbero spingersi a rievocare, durante i loro raduni, la marcia su Roma o il putsch di Monaco, sentendosi più simili ad alcuni dei loro eroi.

Un errore tecnico nella comunicazione ad opera del comitato, sul quale la cerchia di Trump sta già attaccando, è quello dell’eccessiva volontà di spettacolarizzare la vicenda. Il comitato ha infatti assunto un ex regista televisivo per montare i video “shock”, protagonisti delle dirette tv. Uno dei membri del comitato, il democratico Adam Schiff, ha detto che si ricorrerà anche a “ricostruzioni in 3D, in modo che siano il più coinvolgenti possibile e profondamente istruttive”. È per questi motivi che il portavoce di Trump, Taylor Budowich, ha detto: “Questa non è un’udienza legislativa, è una produzione televisiva. Non c’è bisogno di un produttore esecutivo, video montati e di uno show con sceneggiatura nel prime time se la cosa importante è la verità o se si ritiene di avere i fatti”. Un messaggio facile da far comprendere alla cittadinanza, grazie al quale ogni prova o presunta tale ai danni di Trump potrà essere bollata come falsa o montata ad arte dai suoi sostenitori.