Mafie

L’arresto di Riina continua ad attirare curiosità. E con esso il caso di Balduccio Di Maggio

E ultimo arrivò Walter Giustini a riaccendere la curiosità su varie faccende ed anche sull’arresto di Riina, storia travagliata, si sa.

La leggenda vuole che Baldassarre Di Maggio, autista di Totò Riina, noto come Balduccio, si sia svegliato un giorno e abbia confidato al suo amico generale, il noto Francesco Delfino, di sapere qualcosa che lo avrebbe molto interessato: sapeva come fargli catturare Totò Riina.

Balduccio era stato arrestato una mattina di un sabato, era il 9 gennaio del 1993: secondo le carte il pentito Leonardo Messina aveva parlato di lui nel novembre del 1992, facendo partire una operazione contro Cosa nostra che aveva convinto Di Maggio, da uomo libero, a darsela a gambe, lasciando la Sicilia. In fretta e furia parte, se ne va al Nord, in Piemonte, precisamente a Borgomanero, ed è intercettato: all’una di quella notte del 9 gennaio ‘93 una pattuglia dei Carabinieri perquisisce una officina, lui è lì. Arrestato per porto abusivo d’arma da fuoco, un’ora dopo essere stato fermato lo sconosciuto mafioso è già pronto a diventare il più famoso testimone della Repubblica.

Nella caserma del comando provinciale dei Carabinieri di Novara, Balduccio si ritrova di fronte proprio Delfino, tre colonnelli, un maggiore, un capitano, un tenente, due marescialli, tre brigadieri, un appuntato e un carabiniere semplice: si mettono in quattordici a interrogare quel siciliano fermato per una pistola non denunciata che ad un certo punto dice: “Ok, dai, se volete vi porto da Totò Riina”. Ovviamente era disposto a collaborare solo ed esclusivamente con il generale Delfino: evidentemente ne aveva già sentito parlare.

Disse poi Nino Giuffrè, pentito di grande calibro di Cosa nostra, che “quella era la storia, la versione bombardata anche dai media… ma qualcosa di strano era successo, poi anche Brusca ha detto che non fu Di Maggio a portare a Riina, con il tempo i dubbi sul suo arresto diventavano meno dubbiosi ma anche Provenzano diceva che bisognava superare quel gravissimo momento”. Giuffrè, insomma, racconta di un grande capo che quasi evita l’argomento come se sapesse di non avere nessun potere per entrare in quella faccenda. Come se l’arresto di Riina fosse insondabile, al di là delle sue possibilità, cioè di quelle della mafia. E non certo perché ne fosse in parte responsabile.

Provenzano era un corleonese che non avrebbe mai tradito un altro corleonese: si dice che Riina, invece, dalle ristrettezze del carcere, fece la sua indagine per scoprire chi lo avesse tradito e che si acquietò quando fu certo che non era stato “Binnu”.

Quanto a Brusca disse davanti ai giudici del tribunale di Firenze (Sentenza 13/96, Corte di assise, pag. 53) che Balduccio Di Maggio “aveva fatto un patto sottobanco con i Carabinieri per fare arrestare Riina in mezzo alla strada e per evitare che fosse individuata la sua casa”. Secondo Brusca poteva essere fatto un blitz di notte, mentre tutti dormivano invece di bloccarlo in mezzo alla strada: lasciò intendere che la scelta era stata concordata tra Di Maggio e i Carabinieri per permettere agli uomini di Cosa nostra di fare allontanare i familiari di Rina svuotare la casa prima della perquisizione. Quelle le parole pronunciate da Brusca il mattino. Poche ore dopo la prudente retromarcia: “Nessuno mi ha detto che la cattura di Riina sia andata proprio così è una mia conclusione… Chiedo scusa a voi giudici per tutte le polemiche che sono seguite… Ero convinto che fosse utile per comprendere il nostro modo di ragionare… “.

Non c’è niente da fare, la storia di Balduccio continua a riemergere da un sottosuolo torbido. Sicuramente si interseca con le azioni degli investigatori del Ros che alla fine del 1992 avevano ottenuto la disponibilità del sindaco di Palermo Vito Ciancimino a consegnare loro Salvatore Riina. L’accordo tra i Carabinieri e l’ex politico mafioso fu l’epilogo di una serie di contatti tra Mario Mori, il capitano Giuseppe De Donno e Ciancimino avviati dalla seconda metà del 1992. Dal racconto di Mori e De Donno emerge che Ciancimino inizialmente si propose come infiltrato per il Ros nel nuovo sistema politico imprenditoriale da ricreare dopo Tangentopoli, in seguito assunse un ruolo di mediatore tra i due ufficiali e i capi di Cosa nostra e, infine, quando gli fu esplicitamente chiesto di aiutare il Ros a catturare Riina, dopo una lunga esitazione, accettò la proposta.

Il 19 dicembre ’92, quando Ciancimino fu arrestato dalla polizia per un residuo di pena da scontare, aveva appena ricevuto dal capitano de Donno una documentazione topografica della città di Palermo sulla quale doveva indicare dettagliatamente, strada per strada, traversa per traversa come arrivare alla casa del super ricercato, arrestato poi il 15 gennaio successivo: ma solo grazie a Balduccio, ci dice la narrazione. Quel mafioso che non resistette neanche una oretta prima di cantarsela: l’avvocato di Totò Riina, Luca Cianferoni, raccontò che volevano in Aula i vertici del Ros per farsi raccontare la cattura di Di Maggio e come fosse stato poi “gestito” il suo pentimento e che “il ministero mandò qualcuno a chiedere le generalità degli avvocati, come si usava ai tempi del terrorismo quando i difensori venivano spesso sospettato di collusione con le organizzazioni eversive”.

Eh sì, siamo alle solite. E ora Walter Giustini, con le sue dichiarazioni a Report e sul Fatto Quotidiano, riapre il caso.