Diritti

Stop ai bimbi in carcere con le madri recluse, primo ok della Camera al progetto di legge per spostarli nelle case famiglia protette

La proposta, a prima firma del deputato dem Paolo Siani, punta ad escludere che le donne con figli conviventi di età inferiore ai 6 anni finiscano dietro le sbarre. Lo stesso viene previsto per i padri, se la madre o deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza

Fare in modo che i bambini piccoli non si trovino a vivere in carcere al seguito di madri recluse. Questo il fine della proposta di legge approvata in prima lettura dall’Aula da Montecitorio con 241 voti favorevoli e 7 contrari. Il provvedimento – a prima firma del deputato dem Paolo Siani (relatore Walter Verini) – punta a promuovere il modello delle case famiglia e ad escludere che le madri con figli conviventi di età inferiore ai 6 anni finiscano in carcere. Si prevede al contempo, in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il ricorso agli istituti a custodia attenuata per detenute madri (Icam).

Previsioni analoghe anche per i padri, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. La proposta di legge interviene anche sull’istituto del rinvio dell’esecuzione della pena, introducendo delle modifiche, ma soprattutto sulla disciplina delle case famiglia protette che si vogliono promuovere tramite la stipula da parte del ministero competente di convenzioni con gli enti locali per individuare le strutture idonee.

Durante la seduta sono stati approvati alcuni emendamenti tra cui uno, rivendicato in Aula dalla Lega, in base al quale in ogni caso è applicabile il “regime speciale” previsto dall’articolo 41-bis. Dopo il passaggio in Senato “le case protette saranno l’unica scelta per far scontare la pena a una donna in gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza – ha spiegato in dichiarazione di voto Siani -. Il Parlamento vuole lottare per tutte le persone innocenti, in primis i bambini. E’ una questione di civiltà”.