Lavoro & Precari

Stagionali, le storie inviate a ilfattoquotidiano.it: “Io, pizzaiolo, lavoro da 10 anni tra Italia ed estero: solo qui condizioni di semi-schiavismo”

Dopo la video-inchiesta in ristoranti e alberghi di Jesolo, abbiamo chiesto ai lettori di raccontarci le loro storie. Ecco una selezione delle decine di lettere spedite all'indirizzo redazioneweb@ilfattoquotidiano.it: "Quando mi offrono un lavoro sottopagato mi dico sempre: vabbè, meglio di niente. Ma così non riesco a programmare la mia vita"

Turni fino a 12 ore, senza giorni di riposo, con pause di 10 minuti e compensi anche a 6 euro l’ora e con una parte al nero. E’ una sintesi della descrizione del proprio lavoro che decine di stagionali hanno fatto scrivendo alla redazione de ilfattoquotidiano.it dopo la video-inchiesta di Simone Bauducco sulla costa di Jesolo. Pizzerie, ristoranti, campeggi, alberghi, agriturismi: la storia che racconta chi racconta la sua esperienza al fatto.it si somiglia sempre, quasi in fotocopia. E dal Nord al Sud (dalla Toscana all’Abruzzo, dal Veneto alla Campania) non c’è differenza. La filiera “il caporalato dal campo alla tavola!“, come sintetizza un pizzaiolo che vuole rimanere anonimo. C’è chi ha anche tentato di cambiare zona, passando dalla Romagna al Trentino ma la situazione che ha trovato è stata la stessa. Anzi dopo la pandemia, aggiunge una studentessa universitaria che scrive dal Veneto che d’estate è abituata a pagarsi gli studi, la situazione è anche peggiorata.

Ilfattoquotidiano.it ha selezionato alcune di queste storie a testimonianza di tutte le altre, assicurando l’anonimato quando è richiesto e rimuovendo per ragioni di opportunità i nomi dei luoghi di lavoro.

Chi vuole raccontare la sua esperienza, può farlo scrivendo all’indirizzo redazioneweb@ilfattoquotidiano.it, indicando “stagionali” nell’oggetto della mail.

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Sono un pizzaiolo di trent’anni (disoccupato da 6 mesi e non percettore di reddito di cittadinanza) con formazione professionale nell’ambito delle arti bianche e ristorazione. Nel corso della mia ormai decennale “carriera” ho avuto la fortuna di maturare esperienze lavorative in differenti strutture ricettive situate sia in Italia che all’estero. Sono passato dalle prime esperienze lavorative nel ristorante sotto casa, ancora minorenne, alle prime stagioni estive in Romagna seguite dalla prima esperienza lavorativa all’estero avvenuta in Inghilterra per poi risiedere e lavorare per 8 anni a Madrid.

L’unico denominatore comune delle mie varie esperienze sul suolo nazionale è stata una condizione permanente di semi-schiavismo, condita da giornate lavorative di 12 ore, stipendi pagati parzialmente in nero e diritti negati, come ad esempio il mancato godimento delle ferie o del giorno di riposo, il tutto abbellito dal classico italico: “O così o niente! Fuori dalla porta c’è la fila!”. Credo di poter considerarmi un fortunato perché appartenente alla “vecchia scuola”: quella secondo cui bisognava fare la gavetta, rubare con gli occhi, parafrasando lavorare senza diritti gratis o quasi e non lamentarsi. Nel corso degli anni ho notato un cambio di attitudine nei giovani accusati di essere svogliati, vagabondi e poco collaborativi: non sono più disposti a sopportare condizioni di lavoro inumane e pretendono che il loro lavoro sia corrisposto in modo equo secondo legge, come direbbero molti imprenditori del settore o ministri: “Non vogliono fare la gavetta! Preferiscono percepire il reddito di cittadinanza e stare sul divano!”.

La fila fuori dalla porta dei ristoratori sembra essere esaurita, la soluzione alla mancanza di personale per la stagione estiva viene proposta da Federico Caner, assessore al turismo della Regione Veneto, leghista di lunga data: “Serve una quota di immigrazione per gli stagionali del turismo, bisogna allargare i flussi per potere disporre della mano d’opera necessaria per fare andare avanti il comparto”. Invece di migliorare le condizioni lavorative e fiscali di settore si preferisce importare mano d’opera a basso costo inondando così il mercato di lavoratori disposti ad accettare turni di lavoro massacranti per stipendi da fame, tanto per non interrompere la filiera “il caporalato dal campo alla tavola!“.

Suggerisco al ministro Garavaglia, per altro membro di un partito attualmente facente parte la coalizione di governo di limitare la demagogia e occuparsi delle politiche di sviluppo del ministero a lui referente. Potrebbe spostare il dibattito su temi migliorativi come ad esempio salario minimo, lotta al lavoro nero, evasione fiscale, pressione fiscale e costo del lavoro. Mi piacerebbe invitare il ministro ad un confronto, ma dubito fortemente che un ministro della Repubblica italiana si confronterà mai con un cittadino, umile pizzaiolo disoccupato.

Anonimo pizzaiolo disoccupato
Lettera firmata

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Sono nella zona Sirolo-Numana (Ancona). Qui siamo sottopagati e si lavora 7 su 7 per 10 ore al giorno e più, il massimo che ti offrono sono 6 euro netti all’ora o 30 a servizio a prescindere dalle ore che non sono mai come scritto nel contratto. Pure qui ripetono che c’è il reddito. Una volta per tutte ho ripetuto a quello che sarebbe dovuto essere il mio datore di lavoro (perché la prova te la fanno in nero e a volte neanche pagata) il reddito non lo può richiedere un ragazzo che vive in un nucleo famigliare. Forse non lo hanno chiaro.

Lettera firmata

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Mi chiamo Silvia, ho compiuto 39 anni, sono una stagionale dal 2018 quando, per motivi familiari, ho dovuto lasciare il mio lavoro di graphic designer in una grande multinazionale della moda che ha deciso di trasferirsi in Svizzera e che non ho potuto seguire per questioni personali. Mi sono rimboccata le maniche e sono entrata nel mondo stagionale.

Il primo anno ho lavorato in una enoteca, entravo alle 11 la mattina e da sola gestivo l’attività fino all’orario di chiusura (mezzanotte) gestendo soldi, ordini, clienti per 1400 euro con un giorno libero a settimana (non sempre). Il mio contratto risultava stagionale a chiamata con in busta paga meno della metà delle ore dichiarate e il resto a nero.

Ok, mi sono detta, mi accontento è andata cosi, meglio di niente.

L’anno seguente ho cambiato, sono entrata in un agriturismo, lavoravo 12-14 ore al giorno, nelle mie buste paghe non risultavano MAI sabati e domeniche lavorati (con le rispettive maggiorazioni), nessun festivo segnalato, in busta 4 ore al giorno, il resto a nero. In busta 8 euro l’ora, il resto a nero per 7 euro l’ora.

Ok, mi sono detta, mi accontento è andata cosi, meglio di niente.

Ho ancora cambiato, ho gestito un agriturismo nel 2020 dopo il Covid, i padroni non volevano nemmeno aprire, ho fatto cameriera, receptionist, social media manager, arredato i locali, gestivo fornitori e tutti i clienti, per 1000 euro al mese (4 ore dichiarate al giorno, no festivi, no domeniche)

Ok, mi sono detta, mi accontento è andata cosi, meglio di niente.

Nel 2021 cambio ancora, altro agriturismo, non ho avuto giorno libero per 25 giorni consecutivi. Pagata 7,5 euro l’ora. Turni di cameriera pranzo e cena no stop, in busta massimo 6 ore al giorno, nessun festivo e nessuna domenica, nessun aiuto dallo Stato (per forza, per lo Stato risulto una lavoratrice che non ha voglia di lavorare più di 6 ore al giorno).

A fine della stagione stanca ed esausta, decido con il mio compagno cuoco di 36 anni di provarci da soli. Stiamo partecipando a “ON, Nuove imprese a tasso zero” con il fantastico Pnrr, un progetto ambizioso sostenuto anche dal sindaco del Comune del mio piccolo paesino, dopo un anno di lavoro la Cna nazionale ridendo mi dice che la nostra domanda è pronta ma “tanto i soldi sono già finiti e sanno già a chi darli, non vi arriveranno mai”.

Arriva il 2022, di nuovo stagionale, di nuovo sottopagata, di nuovo per lo Stato non lavoro più di 3 ore al giorno, di nuovo il nero è meno del bianco, di nuovo non lavoro i festivi e nemmeno i sabati e le domeniche. Di nuovo non posso programmare la mia vita perché oggi non so a che ore entrerò a lavoro domani e questo sarà fino a settembre, mentre aspetto invano i soldi che lo Stato dovrebbe elargire per aiutare noi giovani a costruire una nuova impresa.

Questo è lo specchio di quello che succede nella mia terra, nella mia Toscana e che penso succeda ovunque in Italia. Questa è la storia di una giovane donna che non è potuta diventare ancora madre grazie allo Stato e che pur avendo grandi progetti e grande voglia di fare si ritrova adesso a chiedere soldi alle banche che ovviamente ci ridono in faccia perché per loro non ho un soldo (per forza: ho contanti e nero in casa da far rabbrividire mio nonno ai tempi dei soldi sotto al materasso). Questa è l’Italia delle marchette, delle raccomandazioni, del ” è inutile che ci provate”, del totale abbandono e non curanza del futuro dei nostri giovani.

Siamo sicuri che il problema sia il reddito di cittadinanza o i giovani che non vogliono lavorare?

Grazie per dare voce anche a noi figli di nessuno.

Silvia

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Mio figlio, cuoco con 13 anni di servizio e anche di chef stellati, ora lavora a 1-2 giorni in una gastronomia. Ha provato a cercare su ristorante o hotel in zona Abano Terme, ma tutti offrono 10-12 ore di lavoro in due turni spezzati da qualche ora (impossibile tornare a casa), paghe sui 1000-1200 netti (dopo 13 anni!!!!), un terzo delle ore in nero, sabati e domeniche compresi. Ferie un paio di settimane a agosto. E c è chi offre anche 700 euro con il resto in nero! Altro che ragazzi che non hanno voglia di lavorare: iniziassero a mettere in regola secondo contratto nazionale del turismo e pagare il giusto!

Alberto

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Lavoro nella ristorazione, come dipendente, da circa 15 anni. Sono passato da aiuto barista, tuttofare, dal classico baretto di quartiere alla gestione come direttore di piccoli bistrot o ristoranti in contesti di pregio, e ne ho viste e sentite (anche sulla mia pelle) veramente di tutte. Tfr pagati dopo più di 7-8 mesi, straordinari mai visti, orari folli (il mio record personale è stato di 350 ore lavorative in un mese). Durante il periodo Covid, mi sono temporaneamente allontanato da questo settore, in quanto le condizioni contrattuali offerte sono ulteriormente peggiorate ed oggi che ne sono rientrato ho comunque dovuto fare più di un passo indietro, accettando compromessi. Nello specifico ho dovuto rinunciare a due livelli (dal secondo ora sono al quarto) una decurtazione significativa del mio stipendio (dai 1700 di fisso ai 1300) e un demansionamento (da direttore a barman) tutto questo per poter lavorare e non rimanere “a casa sul divano”.

Scrivo questa email però perché vorrei darvi uno spunto, che vorrei approfondiste durante la vostra inchiesta, ossia le agenzie ed i siti specializzati nella ricerca di lavoro, strumenti ahimè necessari per chi è alla ricerca di un impiego. Come si suol dire, cercare un lavoro è un lavoro. Aggiungerei frustrante. Sui principali siti non esiste una verifica degli annunci offerti. Mi spiego meglio: nella normalità non viene specificata la mansione esatta, l’orario ed il luogo di lavoro, il livello di contratto e la conseguente remunerazione (almeno quella minima) e molto spesso leggendo l’inserzione si capisce immediatamente, come sia poco seria, al limite della truffa. In queste condizioni cercare lavoro diventa umiliante: su 100 inserzioni lette almeno 80 sono poco serie o incomplete. Mi chiedo: questi siti non dovrebbero essere responsabili di verificare ciò che pubblicano? Vi ringrazio, e anche se con l’amaro in bocca, seguo con interesse questa vostra rubrica, nella speranza che si scoperchi il “vaso di Pandora” e possa cambiare qualcosa in questo mondo sommerso che è la ristorazione.

Luca

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Vi scrivo in seguito al vostro articolo riguardante l’inchiesta sul lavoro stagionale. Mi chiamo Noemi, ho 25 anni e vivo a Cavallino-Treporti, una piccola striscia di terra di appena 13 km, ma che durante l’estate arriva a contare fino a sei milioni di turisti l’anno. Non bisogna nemmeno sforzarsi per capire che questo paese viva prettamente di turismo e la maggior parte delle persone che vi abitano o lavorano come pendolari nelle vicinanze o sono impiegati stagionali. Qui si comincia molto presto a lavorare, forse spinti da una malsana cultura del lavoro che assomiglia più alla schiavitù in alcuni casi, piuttosto che di lavoro vero e proprio.

Io ho fatto la mia prima stagione a 17 anni, assunta all’interno di un’attività del secondo campeggio “migliore” d’Europa. Essendo minorenne sono stata assunta come operaia generica per due ore al giorno, quando in realtà ne facevo molte di più, lavorando oltre la mezzanotte, nei weekend, senza giorno libero e per appena 600 euro al mese (ovviamente la maggior parte percepiti in nero).

Dopo una breve esperienza positiva l’anno seguente, nel 2016, l’anno in cui dovevo affrontare l’esame di maturità, sono stata assunta come cameriera sempre presso lo stesso camping. Qui venivo pagata appena 1100 euro al mese, senza giorno libero e lavorando dalle 8 alle 12 ore al giorno, con pause di appena 10 minuti per mangiare un panino che ci veniva addirittura trattenuto in busta paga.

Ho cercato presto lavoro fisso anche per via dei miei numerosi problemi di salute, che con i ritmi snervanti della stagione si sono ben presto aggravati. Ho trovato lavoro presso una pizzeria d’asporto di questo litorale. Sebbene gli orari fossero rispettati, dopo circa un anno di lavoro (i cui primi due mesi sono stati pagati miseramente ed in voucher) mi sono infortunata sul posto di lavoro ed ho ricevuto minacce ed intimidazioni perché secondo questi “simpatici” datori di lavoro avrei dovuto mettermi in malattia e non in infortunio rischiando che sarebbero venuti controlli per verificare il fatto che non avessimo tutti i dispositivi di protezione individuale adatti. Grazie all’aiuto di una sindacalista ho dovuto non presentarmi più al lavoro alla fine dell’infortunio per poter almeno avere la disoccupazione.

Ad oggi, purtroppo, non posso lavorare a livello stagionale, sebbene ne avrei bisogno in quanto studentessa universitaria, per via dei miei numerosi problemi di salute. Se anche venissi assunta, nel momento in cui si richiedono giorni di malattia puoi essere sicuro che con una scusa verrai licenziato. Le mansioni ed i contratti proposti in questo litorale sono a dir poco abominevoli e con il Covid la situazione non ha fatto altro che peggiorare.

Io, personalmente, sono costretta a barcamenarmi tra babysitter, ripetizioni e qualche lavoretto in nero per cui comunque non si è pagati molto. Ritengo questa situazione irragionevole, una moderna schiavitù legalizzata perpetrata da datori di lavoro che non dovrebbero nemmeno essere chiamati come tali.

Spero che la vostra inchiesta metta in luce tali problematiche e che venga alla luce anche la disastrata situazione di Cavallino-Treporti. Sono sicura che qui avreste moltissime persone da intervistare con storie ancora peggiori di questa.

Noemi

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Quest’anno ho provato a cambiare zona di lavoro da Romagna ladra ho provato ad andare a fare cuoco nel rigoroso e onesto Trentino. Risultato e come cadere dalla padella alla brace. Il mio lavoro sarebbe lavorare tutti giorni senza riposo e senza nessun aiuto, senza straordinario.

Preparare torte e dolci delle colazioni, rigorosamente fatte in casa, fare tre primi e tre secondi per pranzo, tre primi e tre secondi più dolce del giorno per la cena, più una ventina di pietanze diverse per il buffet. Oltre a questo anche stesura del menù, gestione del magazzino, gestione degli ordini, lavaggio e all’occorrenza pulizia della attrezzatura che serve per le preparazioni visto che i due lavapiatti vengono a lavorare a ore. E io sarei il “Padreterno” della cucina di questo albergo tre stelle con una capienza di 50-60 persone: che bello, niente capo partita, niente aiuto cucina, niente pasticcere. Al mio fianco solo il lavapiatti che viene chiamato a ore per non spendere troppo. E io solo ieri ho lavorato dalle 8 alle 15 e dalle 17 alle ore – ascoltate ascoltate – 24. Come dice il padrone dell’albergo: “Ogni tanto può succedere colpa dei clienti. Risultato e dolore terribile della schiena, e dei piedi. Stanchezza e la sensazione che non puoi farcela fisicamente anche se hai lavorato solo una settimana . Fra tre giorni torno in Romagna per ora la stagione per me finisce qui con tanto dispiacere del datore di lavoro di mio un po’ meno.

Marek

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Sono cuoca ed ho lavorato fino all’estate scorsa facendo le stagioni. Vi racconto la mia esperienza. Lavoro in hotel in Abruzzo: unici assunti a 4 ore io e una cameriera sette giorni su sette, 11-12 ore al giorno per 1700 euro. Addestrati a dire – in caso di controlli – che il riposo era stato fatto il giorno prima. Gli altri lavoratori dovevano scappare. (Questo sempre se non arrivavano come controlli i loro amici…). Oggi si lamentano perché non trovano personale? Mi fanno ridere! Dovrebbero vergognarsi! Per finire il mio capo dichiarava di guadagnare quanto me. (Un proprietario di albergo e lido che guadagna quanto un cuoco a 4 ore).

Carmela