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Prosopagnosia, guardare i volti delle persone e non riconoscerle: ecco cos’è la malattia di cui soffrono Brad Pitt ed Enrica Bonaccorti

In alcuni casi, le persone con questo disturbo non sono in grado di riconoscere neanche il proprio volto. Esistono due tipi di prosopagnosia, quella congenita e quella acquisita

Deve fare uno stranissimo effetto guardare i volti delle persone che ci circondano e non riconoscerle. Può essere destabilizzante, snervante e per certi versi spaventoso se si fa fatica a riconoscere addirittura il proprio viso riflesso in uno specchio. Ma ad alcune persone succede e non possono fare altro che convivere con questa disabilità. La condizione si chiama prosopagnosia, un disturbo balzato all’attenzione dei media italiani, dopo che Enrica Bonaccorti ha rivelato di soffrirne. “A un evento Fininvest – racconta – chiacchieravo con un signore. Chiedo: di cosa ti occupi adesso? Lui mi fa pat pat sulla spalla: faccio sempre il presidente della Fininvest. Era Fedele Confalonieri”. La Bonaccorti non lo aveva riconosciuto, ma certamente sapeva il suo nome e il suo ruolo. Ma la donna non è l’unica celebrità ad aver fatto outing. Come lei anche Brad Pitt ha rivelato di soffrire di prosopagnosia. E come loro si stima che circa il 2-3 per cento della popolazione mondiale ne soffra.

La prosopagnosia è precisamente un disturbo neurologico del Sistema nervoso centrale, conosciuto anche come agnosia facciale o cecità facciale. Ci sono vari livelli di gravità. Alcune persone sperimentano una difficoltà nel riconoscere un volto familiare, altre ancora potrebbero non essere in grado di distinguere un volto da un oggetto. Nel saggio “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, scritto da Oliver Sacks, si racconta del caso di un paziente prosopagnostico: un uomo che letteralmente scambiò sua moglie per un cappello. E poi, in alcuni casi, le persone con questo disturbo non sono in grado di riconoscere neanche il proprio volto.

Esistono due tipi di prosopagnosia, quella congenita e quella acquisita. I bambini con prosopagnosia congenita o evolutiva, nascono senza la capacità di riconoscere i volti e potrebbero non essere consapevoli del loro deficit sino a quando non diventano più grandi. Questo tipo di prosopagnosia non è causato da un danno cerebrale o da differenze strutturali nel cervello. Per questo i ricercatori ritengono che il disturbo abbia una base genetica. Alcuni bambini con disturbo dello spettro autistico e sindrome di Asperger spesso presentano questa difficoltà nella percezione dei volti, una tra le cause che potrebbe contribuire alla compromissione delle loro abilità sociali. Uno studio condotto dall’Università Sapienza di Roma, dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISTC), della Fondazione Santa Lucia IRCCS, dell’Harvard University e della University of Cambridge, ha concluso che oltre un terzo degli adulti autistici senza disabilità intellettiva sono prosopagnosici. “Mentre la prosopagnosia evolutiva riguarda il 2-3% della popolazione generale, abbiamo trovato la prima evidenza che il 36% degli adulti autistici senza disabilità intellettiva sono prosopagnosici”, spiegano Ilaria Minio-Paluello e Giuseppina Porciello, autori principali dello studio pubblicato sulla rivista Molecular Autism.

La prosopagnosia acquisita, invece, può manifestarsi in seguito ad un danno cerebrale, come un ictus, lesioni cerebrali traumatiche o alcune malattie neurodegenerative. Non sono noti ancora i meccanismi sottostanti a questo disturbo. Alcune teorie sostengono che vi sia una ridotta attivazione nelle aree cerebrali implicate nella percezione e nel riconoscimento dei volti. Nella prosopagnosia congenita, la causa potrebbe risiedere invece nella genetica e potrebbe essere ereditaria. Contro questo disturbo non c’è una cura. Ma ci sono una serie di trattamenti che hanno l’obiettivo di aiutare l’individuo con prosopagnosia a sviluppare strategie compensatorie. Ad esempio, si può imparare a ricordare i volti utilizzando altri indizi come i capelli e la voce. La terapia può aiutare anche a trattare l’ansia o la depressione dovuti a questa condizione.

Articolo di Valentina Arcovio