Cronaca

Gruppo Wagner, il racconto senza filtri dell’ex comandante dell’armata di Putin: le “perdite enormi dell’esercito”, il ricorso (mai ammesso) ai mercenari | In esclusiva per l’Italia

“Io, comandante di Wagner” (288 pagine, edito da Libreria Pienogiorno) esce oggi in contemporanea internazionale: è la testimonianza di Marat Gabidullin, già comandante di quella che è considerata la brigata delle tenebre del Cremlino, famosa al mondo per la sua ferocia

Lo chiamano “la Brigata delle tenebre”, è la truppa di mercenari di Putin, per molti una delle sue armi segrete, forse la più pericolosa. È famoso per la ferocia delle proprie operazioni, in Siria come in Africa e Ucraina, dove ha combattuto e sta combattendo al fianco (ma sarebbe meglio dire all’ombra) degli eserciti e degli schieramenti ufficiali. Il Gruppo Wagner è questo, ma anche molto altro. Per la prima volta viene raccontato dall’interno, grazie alla testimonianza di un suo ex ufficiale, Marat Gabidullin. “Io, comandante di Wagner” (288 pagine, 18,90 euro, codice ISBN 979128002 29571, edito da Libreria Pienogiorno) esce oggi in contemporanea internazionale. Ma ha anche rischiato di non uscire mai. Nel 2020 un piccolo editore siberiano aveva annunciato la pubblicazione della prima testimonianza non anonima dall’interno del gruppo di mercenari, ma il giorno dopo l’autore aveva ricevuto minacce tali da costringerlo ad annullare il progetto. Ora questa testimonianza viene alla luce. Per gentile concessione dell’editore e in anteprima per l’Italia, ilfattoquotidiano.it pubblica qui sotto un estratto del documento.

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È stato solo poco tempo fa che ho capito davvero le ragioni che mi hanno spinto a scrivere un libro sui mercenari russi. Il primo impulso l’ho provato quando ho cominciato di nuovo a leggere dopo un lungo periodo di stagnazione intellettuale. Ho letto tutto d’un fiato I racconti di Sebastopoli di Lev Tolstoj e le mie mani si sono mosse verso la tastiera come animate di vita propria. Ero tormentato da un bisogno insopprimibile di far comprendere ai miei connazionali un’idea semplicissima, ma che la nostra morale pubblica rifiuta, o addirittura giudica sacrilega perché incompatibile con la visione dello sviluppo storico peculiare della Russia: siamo come tutti gli altri. E la nostra cosiddetta identità tanto singolare, spirituale e romantica non è altro che un mito, alimentato da coloro che traggono profitto.

Questo libro non è tanto il resoconto delle avventure militari di un mercenario e dei suoi compagni, quanto piuttosto un tentativo di illustrare il modo in cui la Russia usa il mercenarismo. Ci viene detto che i soldati di ventura sono un fenomeno tipico dell’Occidente e che il mercenarismo è un prodotto dell’idra capitalista, ma anche noi ce ne siamo serviti per promuovere gli interessi del nostro Paese all’estero. I nostri uomini politici mantengono un silenzio pudico sull’esistenza di compagnie militari private russe e respingono in blocco qualunque allusione al ricorso a tali formazioni non governative. Da parte loro, i propagandisti indottrinano pesantemente i russi inculcando loro l’idea di una politica estera propria della Russia ed eludendo qualunque risposta diretta alle domande riguardanti l’uso dei mercenari.

A chi torna comodo questo stato di cose? Anzitutto, a coloro che vivono a spese del popolo, cercando di convincere quello stesso popolo della loro utilità. I generali russi in Siria, ad esempio, hanno messo in campo con successo una strategia che avrebbero potuto battezzare “qui non ci sono”, creando l’illusione di vittorie poco costose in termini di vite umane nei ranghi dell’esercito. Ma le cifre reali dei cittadini russi morti nella guerra contro lo Stato Islamico non corrispondono ai dati ufficiali. Il numero dei mercenari russi morti in Siria è superiore, e di gran lunga, di quello dei soldati dell’esercito. E tuttavia, ai russi viene tenuta nascosta perfino la partecipazione della cmp (Compagnia militare privata), sempre per alimentare il mito di una guerra non sanguinosa. I militari russi di ogni grado presenti in Siria si crogiolano nella gloria e si lasciano adulare dal popolo ignorante che ha davvero rischiato la vita per sconfiggere i jihadisti dello Stato Islamico.

Anche i dirigenti politici traggono vantaggio da ciò che definiscono pomposamente un “fenomeno incompatibile con i nostri valori morali”. Il salvataggio del regime di Bashar al-Assad ha consentito alla Russia di crearsi la fama di protettrice di criminali di ogni specie in ogni parte del mondo. Il continente africano rimane terreno vergine per la diplomazia russa e gli intrallazzatori politici. Il potere è in mano a leader senza scrupoli che hanno saputo apprezzare l’aiuto fornito da Mosca a Damasco e si sono mostrati pronti a lasciare che la Russia mettesse le mani sulle risorse naturali dei loro Paesi ricchi d’oro, diamanti e petrolio. Il ricorso ai mercenari da parte della Russia è un fatto assodato, irrefutabile. Questo libro non fa altro che ripercorrere la storia di uno di loro. Ognuno di noi sceglie per quali ideali lottare. Io un giorno ho deciso che, se avessi dovuto tornare a combattere, l’avrei fatto solo per mettere fine alla guerra. Non sono l’unico a pensarla così, ma siamo una minoranza. Gli altri sono pronti a servire Dio e Mammona; in fin dei conti, sono mercenari.

Il 24 febbraio, il presidente della Federazione Russa ha lanciato un’ “operazione speciale” contro quello che chiama “il regime nazista dell’Ucraina“. Ma nel giro di qualche giorno l’ “operazione speciale” si è rivelata una guerra su larga scala: città distrutte, civili uccisi. In un conflitto, discutere quale delle parti sia responsabile della morte dei civili non ha alcun senso. È sempre l’aggressore che ha torto. Chi ha iniziato la guerra è l’unico a dover rispondere delle conseguenze dello scambio di colpi. Un proiettile di mortaio o un missile che finiscono su una casa, da qualunque parte vengano, sono stati sparati soltanto perché è in corso una guerra. A giudicare dalle armi sofisticate e dalle munizioni ad alta precisione e di grande potenza, la Russia ha cominciato a prepararsi alla guerra molto tempo fa, investendo in questo progetto miliardi di dollari, quando le persone anziane sono costrette a vivere di pensioni umilianti e le cure mediche per i bambini sono finanziate con le raccolte fondi in tv!

E l’esercito? Nonostante il dominio totale dello spazio aereo e la superiorità delle armi moderne, ha subìto perdite enormi. Il ministero della Difesa non mente quando dichiara il numero di morti, semplicemente non dice tutto. Un soldato di cui viene ritrovato e identificato il corpo è considerato morto. I resti non identificati o abbandonati in territorio nemico sono classificati sotto la voce “destino sconosciuto”. La guardia nazionale Rosgvardia (1) non fa parte dell’esercito e il ministero della Difesa non è obbligato a rendere conto delle perdite nelle sue file; lo stesso vale per le formazioni armate delle repubbliche popolari. Quando è stato necessario combattere in Siria, l’esercito mandava i mercenari a fare il lavoro sul terreno, e oggi raccoglie i frutti di quella vittoria artefatta. Ieri l’esercito russo combatteva senza troppa convinzione contro lo Stato Islamico, la peste ideologica del XXI secolo. Oggi sacrifica con notevole zelo i suoi combattenti in una guerra contro una nazione sorella.

Anche i mercenari russi sono scritti in una colonna a parte dell’elenco delle vittime, coperta dal segreto. E in Ucraina sono molto numerosi, in tutte le ramificazioni della cosiddetta operazione speciale. Le formazioni delle repubbliche del Donbass, riconosciute solo dalla Russia e che in otto anni hanno perseguito unicamente una strategia difensiva, non sarebbero in grado di condurre operazioni offensive senza il supporto di un’altra forza, quella dei mercenari. Fino a poco tempo fa, attorno a Kiev c’erano almeno due distaccamenti di mercenari, assegnati specificamente a questa operazione. Inoltre, tre distaccamenti di Wagner partecipano ai combattimenti a Mariupol e Kharkiv. I mercenari sono pagati in dollari. La nuova tendenza, all’interno delle forze d’invasione, è scambiare il patriottismo con i dollari. L’ideologia non c’entra, quello che conta è riempirsi le tasche.

E la Russia? Come al solito, la maggioranza approva la linea del partito e del governo. Il cervello dei miei connazionali, che la propaganda ha trasformato in pappa, accetta senza battere ciglio l’idea di “denazificazione” e “demilitarizzazione” dell’Ucraina. Pieni di soldi, ben pasciuti e con indosso abiti firmati occidentali, i proprietari di ville in Europa e negli Stati Uniti hanno fiaccato a tal punto lo spirito dei russi che i miei connazionali sono pronti a sentirsi orgogliosi per le esibizioni di forza, dimenticando le loro esistenze miserabili. Ogni 9 maggio i russi esibiscono le fotografie dei loro cari caduti nella Grande guerra patriottica, ma non osano fare i conti con il “pericolosoCeceno (2). L’essersi appropriati della vittoria dei padri non è più sufficiente a soddisfare le loro menti traviate né la brama di grandezza. Stavolta il colpevole di tutti i mali è il regime “nazista” dell’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali e americani, che ci sono sempre stati ostili.

Il popolo russo trionfa e scrive la lettera “Z” sui muri e sui veicoli. E la vittoria in questa guerra, di cui non si deve pronunciare il nome, è già assicurata in anticipo dalla legge che sanziona qualunque forma di dissidenza o di narrazione che si discosti dalla versione ufficiale nel campo dell’informazione accessibile alla maggior parte dei russi. La televisione, la radio e i giornali sono imbavagliati e non tutti sanno come aggirare i blocchi su internet, né sentono il bisogno di farlo: la situazione ideale per trasformare qualunque sconfitta in una vittoria. Le difficoltà economiche legate all’isolamento internazionale non spaventano la maggioranza dei russi, che non hanno mai vissuto nell’abbondanza o non hanno avuto il tempo di abituarcisi. L’amicizia con Paesi in via di sviluppo, assai costosa per il nostro budget, e la cooperazione asimmetrica con la Cina paiono soluzioni accettabili per resistere ai “diktat” dell’Occidente, dove con “diktat” bisogna intendere la capacità di negoziare e di imporsi standard elevati per rimanere competitivi.

Con la Cina o la Repubblica Centrafricana è più semplice: nel primo caso, si china la testa, perché è Pechino a dettar legge. Nel secondo, siamo noi ad avere il coltello dalla parte del manico: i leader dipendono totalmente dai mercenari. Difficile prevedere cosa ne sarà del mio Paese, e di me. Temo forse per la mia vita e la mia libertà? Non sono una figura di spicco come Aleksej Naval’nyj (3) o Boris Nemcov (4). Non lancio appelli per salire sulle barricate e non dirigo alcun movimento di opposizione. Non faccio altro che parlare apertamente, e con conoscenza di causa. Mi accuseranno di essere un nemico del popolo? Ormai questa espressione viene usata per marchiare chiunque osi dire ad alta voce ciò che alcuni preferiscono passare sotto silenzio e altri non vogliono riconoscere. Ebbene, sono pronto a vivere con questo marchio d’infamia, che ha senso soltanto per coloro che appiccicano etichette. Chi vivrà vedrà.

NOTE
(1) Forza militare interna al governo russo, creata il 6 aprile 2016. È stata affidata alla guida dell’ex guardia del corpo personale di Vladimir Putin, Viktor Zolotov.
(2) Ramzan Kadyrov, l’autoritario presidente della Repubblica Cecena, nel Caucaso settentrionale.
(3) Il principale oppositore di Vladimir Putin nonché critico instancabile del suo regime, in carcere da oltre un anno.
(4) Celebre oppositore assassinato nel 2015 sotto le mura del Cremlino.