Elezioni e Referendum 2022

Comunali a Palermo, il lavoro strategico di Dell’Utri e Cuffaro dietro la convergenza del centrodestra su Roberto Lagalla

Da sei candidati di area, fino all'appoggio di tutti all'ex assessore della giunta Cuffaro. Lui allontana l'ombra dei due condannati per reati connessi alla mafia: "Non strumentalizzare fatti inesistenti alimentando una macchina del fango che dimostra solo la pochezza ideale e di contenuto dei suoi manovratori". Il braccio destro di Berlusconi: "Ho espresso la mia preferenza per il miglior in campo, non c'è nessuna mia ombra"

Sei piccoli indiani. Tanti erano i candidati nel centrodestra alle Comunali di Palermo, caduti uno ad uno fino al last man standing. Ovvero quel Roberto Lagalla, ultimo uomo rimasto, che inizialmente si presentava come candidato civico e si ritrova adesso sospinto verso l’infinito e oltre (è dato per vincente al primo turno) da una corazzata pendente nettamente a destra. Ma non solo. La caduta dei candidati, fino alla convergenza di tutto il centrodestra sull’ultimo uomo, è adesso attribuita al sottile lavoro strategico giocato nelle retrovie da Marcello Dell’Utri. E se l’imprimatur sulla candidatura dell’ex rettore porta il marchio dell’ex senatore forzista, la mossa finale, quella decisiva che ha sbilanciato la vittoria verso Lagalla, la si deve, invece, a Totò Cuffaro.

Così, l’ex rettore ed ex assessore alla formazione della giunta di Nello Musumeci, nonché ex assessore della giunta di Cuffaro, medico radiologo, di storica formazione democristiana, ha lasciato per strada il vessillo della candidatura civica per diventare invece la pedina di Fratelli d’Italia, da giocare contro Lega ed Fi, e porta adesso addosso l’impronta non di uno ma di due condannati e perfino per reati connessi alla mafia: Dell’Utri ha scontato una condanna per concorso esterno, Cuffaro per favoreggiamento. “Il vecchio che avanza”, dalla parte avversaria non si perde di certo l’occasione per sottolineare il contesto elettorale che si è infine stretto intorno a Lagalla e che lascia gli osservatori con pochi dubbi sulla sua vittoria.

Perfino al primo turno, d’altronde, come dice con estremo candore Francesco Cascio, l’unico a tenergli davvero testa, ma infine caduto anche lui: “Per il ballottaggio da noi si vota il 26 giugno, significa estate piena: i nostri elettori non vanno a votare. Quelli di sinistra sì”. Si doveva far tutto per evitare il secondo turno, questo dice in diretta radiofonica, in collegamento con Un giorno da Pecora poche ore dopo la notizia del suo ritiro. Una candidatura che, a contar bene dall’ufficializzazione al ritiro, non è durata più di 9 giorni. Di certo, infatti, Palermo negli scorsi mesi è diventata palcoscenico ora di questo candidato, ora di quello: tutti ad annunciare con toni trionfali la corsa al più alto scranno del capoluogo siciliano, in nome, manco a dirlo, dell’amore per la città, salvo ritirare tutto poco dopo.

Pareva inamovibile Carolina Varchi, per esempio, la prima candidata di Giorgia Meloni, l’avvocata palermitana ha dovuto infine cedere il passo in “nome dell’unità”. Una candidatura la sua tutto sommato longeva (due mesi circa), ma nulla di paragonabile a quella di Davide Faraone che addirittura era stata lanciata da Matteo Renzi in persona alla Leopolda lo scorso novembre. Lanciata così presto che già a dicembre la città si ritrovava campeggiare i manifesti elettorali che annunciavano la corsa a sindaco di Palermo del senatore di Iv al grido di “Viva Palermo”. Partiti con netto anticipo su tutti, i renziani arrivano, invece, adesso con nessun simbolo e nessuno appoggio al candidato. Dopo la ritrovata unità del centrodestra che si è spostato in massa su Lagalla, Renzi ha dichiarato che Italia Viva “non ci sta”, ma le liste dei suoi erano già pronte, e dopo il suo annuncio in cui si è sfilato dalla corsa palermitana è girata una nota firmata “fonti di Italia Viva Palermo”, in cui si sottolineava: “Per noi l’ex Rettore rappresenta il profilo più autorevole, la sintesi migliore per parlare a tutta la città. E su questo sentiero è nata la lista civica Lavoriamo per Palermo”.

“Stanno scomparendo”, gongolava, infatti, un forzista siciliano martedì, dopo aver letto la nota dei renziani siciliani. Il simbolo di Italia Viva in realtà non c’era più già dal ritiro di Faraone, ma adesso non c’è neanche più un appoggio simbolico: la mossa in grande anticipo di Renzi non pare avere avuto grande successo, a giudicare dai risultati. Non è andata meglio all’ex renziano Francesco Scoma che a inizio aprile ha annunciato la candidatura nelle file della Lega, salvo poi ritrovarsi in ticket in qualità di vice di Cascio appena due settimane dopo, una vice-sindacatura a sua insaputa, pare, tanto che poco dopo l’annuncio della Lega, Scoma oppone il gran rifiuto, scomparendo definitivamente dai radar. In difficoltà, sempre restando al centro, anche Totò Lentini: l’autonomista ha presentato la sua candidatura di fronte ad un auditorium gremitissimo. In prima fila sedeva l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo. I toni enfatici, la nostalgia per Democrazia Cristiana trovavano plauso tra la folla accorsa all’auditorium Politeama. Solo qualche ora dopo, iniziava già il pressing per farlo ritirare. Ha resistito finché ha potuto, ma poco dopo Cascio, anche lui è caduto nel “passo indietro”.

Non restano che i manifesti adesso, dove ancora campeggia l’immagine di Francesco Cascio con lo slogan “Ne avrò cura”. “Ne avrà cura Lagalla”, ironizzano i conduttori di Un Giorno da pecora e a lui non resta che ricordare che pure l’attuale candidato è un medico. Un percorso accidentatissimo, insomma, quello che ha portato infine il centrodestra a convergere su un unico candidato a quasi un mese dalle elezioni. Un risultato raggiunto nel caos di annunci enfatici e talvolta bellici, grazie alla trama tessuta a dovere nelle retrovie da un unico deus ex machina, quel Dell’Utri che ora scatena l’indignazione degli avversari e non solo, mentre sui social circola il montaggio di un’immagine che ritrae il candidato sindaco in mezzo a lui e Cuffaro: “Dell’Utri ha espresso un parere all’interno di un dibattito di partito in cui io ero convitato di pietra, perché estraneo al dibattito. Mentre Cuffaro ha scontato un proprio debito con la giustizia e oggi è l’esponente, certamente non operativo, di una forza politica che tutti hanno ricercato, a cominciare da mondo della sinistra”, si difende così l’ex rettore.

E addirittura parla di “macchina del fango”: “Inviterei a non strumentalizzare fatti inesistenti – aggiunge – alimentando una macchina del fango che dimostra solo la pochezza ideale e di contenuto dei suoi manovratori”. Gli fa eco Dell’Utri: “Ho espresso solo la mia opinione, io non voto neanche a Palermo”, ribadisce lui. Che però sottolinea: “Il merito, se l’ho avuto, è quello di avere espresso la mia preferenza per il migliore in campo, ma non c’è nessuna ombra di Dell’Utri su nessuna elezione”. Lo ripete anche oggi che diventa la vera spina nel fianco di una candidatura blindatissima. Ma l’ex senatore forzista si è spinto eccome oltre le mere opinioni, pure incontrando i vertici del centrodestra siciliana all’Hotel della Palme, dove alloggiava. Tra questi c’era pure il presidente della Regione, Nello Musumeci, ovvero il vero nodo della questione che ha diviso il centrodestra: la ricandidatura o meno del presidente uscente. “Abbiamo parlato di libri”, dice lui. Ma non manca di ribadire: “È il candidato naturale”. Così che la ricandidatura di Musumeci a questo punto pare già cosa fatta.