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Gerusalemme, da città santa alle discriminazioni: il sogno del cosmopolitismo non vede la luce

Abbiamo già tutti dimenticato, incalzati dalle cronache di un’altra guerra, le violente aggressioni dell’esercito israeliano contro giovani manifestanti alla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, luogo sacro per i musulmani. È stato poco meno di un mese fa. Nei giorni precedenti si era diffusa la notizia che una organizzazione messianica ebraica volesse fare un sacrificio rituale per la Pasqua sul Monte del Tempio, luogo sacro agli ebrei. Di lì le manifestazioni che naturalmente travalicano il senso del sacro e sono tutte dentro la cronaca politica di una città dove si può assistere continuamente a storie ordinarie di una folle occupazione che dura da 55 anni.

All’inizio di tutto, quando fu creato lo Stato di Israele, Gerusalemme doveva essere una città internazionale, un luogo di nessuno e di tutti: infatti, si pensò, troppe erano le tensioni, impossibile dividere una città tre volte santa, dove ebrei cristiani e musulmani custodiscono i propri luoghi sacri. Ma quel sogno di una città aperta non si è mai verificato, come racconta Paola Caridi in Gerusalemme senza Dio (Feltrinelli), e probabilmente mai vedrà alla luce, come spiega Eric Salerno nel suo Gerusalemme (che inaugurata la collana “Le città visibili” di OGzero, Orizzonti Geopolitici). Entrambi gli autori sono giornalisti autorevoli e stimati, soprattutto amano quella città che trasuda di storia, fino ad esserne “satura” (Alberto Stabile). Il testo di Caridi è una ristampa di quello del 2013, oggi attuale anche perché le è valso il prossimo Premio Internazionale Stefano Chiarini (14-16 maggio, Modena), dedicato al giornalista de Il Manifesto scomparso nel 2007, rivolto a coloro che nel mondo dei media e della cultura contribuiscono a far conoscere il Medioriente.

Quasi un milione di abitanti, oltre il doppio rispetto alla popolazione residente del 1985, Gerusalemme millenaria, con la sua Porta di Damasco immobile, sembra quasi una città ‘normale’, con il suo ritmo quotidiano e ripetitivo di tutti i grandi spazi urbani. Città santa e iconica, anche Gerusalemme, in realtà, è stato un importante centro di potere economico, con la borghesia palestinese abile nel maneggiare denaro, con i suoi antichi quartieri ebraici, ha avuto le sue trasformazioni, e dunque non è affatto stata una città immobile, ci racconta Caridi, si è lanciata anche verso la sua modernizzazione nel tardo periodo ottomano. C’è stato un tempo in cui era una città vivace e cosmopolita, assai più di quanto non lo sia ora che è simbolo dell’ortodossia di tutte le fedi. Ma poi tutto si fermò nel ’48, quando l’unità di quei territori venne spezzata: “facciamone una città di tutto il mondo”, pensarono alle Nazioni Unite, ma poi venne la ‘linea verde’, il confine di separazione tra est e ovest che ha solo impedito che la città venisse sottratta al triste destino odierno.

Città impregnata di miti, al punto che esiste una rara sindrome che prende il suo nome e colpisce chi viene sopraffatto dalla religiosità del luogo, oggi è un luogo di divisione atroci. Un abitante israeliano di Gerusalemme può recarsi senza alcun problema a Tel Aviv, all’aeroporto, al mare, racconta Paola Caridi. Un palestinese che risiede in un quartiere di Gerusalemme Est potrebbe trovarsi la mattina senza alcun preavviso la strada che congiunge il suo quartiere alla città chiusa da un check point volante della polizia e gli potrebbe venire negato l’accesso al resto di Gerusalemme.

Da città santa a luogo di profonde discriminazioni e di povertà, per i palestinesi e per molti strati della popolazione ebrea ortodossa, e che sta cambiando rapidamente nella sua urbanistica, denuncia nel suo libro Eric Salerno con l’autentica passione di chi ha lì un pezzo di sé – come davvero è per lui. E di chi può vedere nel tempo gli effetti perversi di scelte politiche mirate ad impedire che la città sia di tutti. Anche l’urbanistica si è messa al servizio di questa strategia scellerata, con quell’idea dell’architetto israeliano di origine canadese Moshè Safdie che s’è messo in testa di costruire una cabinovia che parta dalla vecchia stazione ferroviaria Jaffa-Gerusalemme per giungere fino al Muro del Pianto e sul Monte Scopus.

Evviva il capitalismo, che arriva a profanare uno splendido luogo sacro. Se volete visitare Gerusalemme, non comprate le guide, leggete Paola Caridi e Eric Salerno.