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Medio Oriente, le narrazioni si abbandonano alle risposte di sempre: serve guardare oltre

“Gli storici interessati al Medio Oriente faticano a dedicare i loro sforzi alle micro-narrazioni, ossia alle vicende collettive viste però attraverso il prisma delle esperienze individuali” scrive Lorenzo Trombetta, corrispondente dell’Ansa da Beirut, studioso di Siria contemporanea – probabilmente il migliore che possiamo vantare – nel suo libro Negoziazione e potere in Medio Oriente, uscito da poco per Mondadori Università. E come dargli torto?

Osservando le narrazioni fatte su questi paesi non possiamo che notare un appiattimento. Le risposte alle domande sulle guerre, le sommosse o le tensioni religiose sono quasi tutte un livellamento della realtà adoperando schemi ormai consolidati. Un esempio: le tensioni fra sciiti e sunniti sono spiegate come la naturale evoluzione delle relazioni fra le due correnti dell’Islam. L’Isis, ancora, non è stato altro – spiegano gli analisti nostrani – che il naturale risultato del proselitismo radicale islamico e del sostegno americano. Mentre, ci spiega Trombetta, dovremmo cominciare ad utilizzare altri strumenti per affacciarci alle vicende arabe.

Il primo è l’interposizione delle dimensioni internazionale, regionale e locale. Questi fattori possono essere economici, politici o sociali, e hanno una loro dimensione diluita nel tempo. Un tempo spesso differente da quello narrato dai corrispondenti di guerra che non tengono conto di eventi, anche minori, che hanno avuto una ripercussione sulla società in molte questioni – nel caso di questo volume, quella siriana e libanese. Caso fra i molti citati nel libro è la riforma agraria voluta dal partito Ba’th negli anni Settanta che ebbe, fra i numerosi effetti, quelli di spingere comunità arabe a vivere in neonate colonie agricole situate nei territori curdi. Il risultato fu “minare i legami di solidarietà esistenti nelle regioni di Raqqa, Hama e Hasaka”.

A distanza di decenni questi fatti, locali, possono essere messi sullo stesso piano insieme a cause regionali e internazionali per spiegare le tensioni arabo-curde in Siria che sono esplose dall’inizio della crisi. Mentre prima erano anestetizzate, salvo rari eventi, dalla continua – anche oggi attiva – negoziazione fra potere centrale e attori locali i quali, per decenni, sono riusciti a mediare nel microcosmo siriano. In questo Trombetta ci porta ad esplorare il mondo degli attori locali e delle classi notabili, dandoci una idea di quei poteri occulti che contribuiscono al funzionamento dello Stato rimanendone, ufficialmente, fuori. Si scopre una realtà composta da figure ufficiali e ufficiose. Il caso estremo è una testimonianza rilasciata all’autore da un architetto, Omar Abdulaziz Hallaj, che ci racconta quello che l’autore definisce il deep state. “Un cliente mi affidò un progetto di costruzione di un edificio. Lo presentai all’ordine degli architetti e con sorpresa scoprii che il mio progetto sarebbe stato respinto”. La motivazione era che, dissero ad Hallaj, “ad Aleppo vigeva il sistema dell’abusivismo”. La prassi era la presentazione del progetto con tutti gli abusi edilizi al Comune. “A quel punto il Comune informa il richiedente di quanto sono le multe da pagare per condonare gli abusi”. Per sbrigare tutte queste formalità, Hallaj fu mondato da un tale Abu Ramez: impiegato 65enne, formalmente in pensione, che aveva il suo ufficio in un sottoscala del comune di Aleppo. Questo uomo era a conoscenza di tutte le leggi, i codici e le eccezioni. Per questo era il pilastro sul quale si reggeva il piano regolatore della città. “Le leggi stanno scritte nella mia mente”, riferì ad Hallaj.

L’esempio proposto da Trombetta rende chiara l’esistenza di una struttura parastatale, contigua allo Stato. Ma ad essere ancor più interessante, soprattutto alla luce degli eventi in Ucraina, rimane il fondamento centrale del volume che è l’indagine dello studio della complessità. Un invito ad andare oltre gli schemi prestabiliti e uscire da una narrazione generalista per inoltrarsi ad analizzare una società dal suo interno. Rischiamo altrimenti di appiattire ogni realtà senza riuscire a guardare oltre agli eventi, abbandonandoci alle risposte più ovvie che spesso ci allontanano dalla verità.