Mafie

La vicenda di Placido Rizzotto dimostra che antimafia e antifascismo sono due facce della stessa medaglia

Antifascismo e antimafia sono due facce della stessa medaglia. Quella d’oro al merito civile che venne attribuita a Placido Rizzotto nel 2012 con questa motivazione: “Politico e sindacalista fermamente impegnato nella difesa degli ideali di democrazia e giustizia, consacrò la sua esistenza alla lotta contro la mafia e lo sfruttamento dei contadini, perdendo tragicamente la giovane vita in un vile agguato ad opera degli esponenti mafiosi corleonesi. Fulgido esempio di rettitudine e coraggio spinti fino all’estremo sacrificio”.

Sappiamo che l’antifascismo è stato ispirato da differenti culture e che è sbagliato semplificare, ma se questo è vero, credo che non sia semplificatorio affermare che ogni antifascista, comunque arrivato a maturare la scelta di ribellarsi, abbia avuto passione per la libertà di ciascuno, per la giustizia che sta nell’avere uguali opportunità di realizzazione e che abbia per questo avuto in odio ogni forma di prepotenza, di prevaricazione, di segregazione. In una parola: di dispotismo.

Evocare la figura di Placido Rizzotto per questo 25 aprile è un modo per eliminare ogni trappola retorica dal motto, sempre caro, “ora e sempre resistenza!”. Nato a Corleone nel 1914, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale era stato mandato a combattere in Carnia, ma con l’8 settembre aveva deciso di andare a Roma (e non di tornare a casa) per unirsi alle brigate partigiane. Questa esperienza lo segnò per sempre, infatti tornato a Corleone alla fine della guerra mise a frutto l’esperienza maturata sul fronte antifascista, impegnandosi prima con l’Anpi, poi con il Partito Socialista Italiano e con la Cgil, per la quale divenne segretario della Camera del Lavoro di Corleone nel 1947. La battaglia che lo caratterizzò in quegli anni fu quella per la riforma agraria, cioè per il lavoro e per la dignità dei braccianti impoveriti (ché i “poveri” non esistono!) dalla vergogna del latifondo, protetto dalla mafia.

Cos’altro poteva fare un antifascista? La mafia a Corleone nel secondo dopo guerra aveva già (!) “giacca e cravatta”: quelle del medico e primario ospedaliero Navarra, che comandava Liggio e gli altri mafiosi. I mafiosi di Corleone non sopportavano Rizzotto, esattamente come non lo avevano sopportato i fascisti. I mafiosi riuscirono dove i fascisti avevano fallito: ammazzarono Rizzotto nel marzo del 1948 e fecero sparire il suo corpo nelle foibe di Rocca Busambra. I suoi resti vennero ritrovati soltanto nel 2012 e finalmente sepolti con gli onori di un funerale di Stato.

“Ora e sempre resistenza!”: perché una volta che hai assaporato la gioia potente della liberazione, non puoi più vivere diversamente. Cos’altro c’è che possa rendere la vita degna di essere vissuta se non l’impegno per la liberazione umana?

Retorica da anime belle? Lo pensano i “salvati”, quelli che hanno troppo da perdere a mettersi in gioco ed è triste rendersi conto che questo “troppo” non è poi così tanto: è spesso uno scampolo di benessere legato ad un accesso al consumo, mediocre e pure aleatorio. Ma spesso basta poco per farsi comprare e convincersi che il mondo non possa essere altro da come è. Convincersi che sia ragionevole trovare un compromesso con i dittatori per tornare a quella “pace” che, come si cantava, è la pace “per fare quello che voi volete”. Che sia accettabile che porzioni significative del territorio italiano siano ancora oppresse dalla violenza intimidatrice di mafie predatorie e meschine. Che sia ragionevole che alla feroce competizione imposta dalla globalizzazione si risponda con dosi di schiavitù nelle campagne, così come nei cantieri. Che sia comprensibile che i Paesi ricchi si barrichino per prepararsi all’assalto degli impoveriti dai cataclismi ambientali (cosa altro è stata Brexit?).

Parafrasando ciò che disse Enrico Berlinguer in un passaggio della celebre intervista concessa nel 1981 a Scalfari, il problema non è che non lo sappiano (gli italiani); è che i più stanno sotto ricatto, perché hanno accettato come favori ciò che non hanno saputo o potuto avere come diritti. Lo avrebbe capito anche un giovane capitano dei Carabinieri arrivato a Corleone per indagare sull’assassinio del giovane Placido Rizzotto: si chiamava Carlo Alberto Dalla Chiesa e nel 1982, rispondendo a Giorgio Bocca, avrebbe usato un concetto molto simile. Appunto: antimafia e antifascismo sono due face della stessa medaglia.