Tecnologia

Smart City: i risultati della ricerca sulla percezione degli italiani sulla “città intelligente”

Il concetto di Smart City è stato ormai assorbito da circa metà degli italiani, soprattutto quelli più giovani, ciò risulta ancora qualcosa di astratto e quasi oscuro per la restante metà. Partiamo quindi proprio dalla spiegazione del concetto di “Smart City” data da Andrea Toigo, IoT Manager di Intel, durante la presentazione dei risultati dello studio sul tema, commissionato dal colosso statunitense ed effettuato da Pepe Research: “Quando parliamo di Smart City pensiamo a tutte le tecnologie che ci permettono di migliorare la nostra interazione con la città da diversi punti di vista, sono tecnologie che permettono di migliorare la sostenibilità, la mobilità e ci permettono di aumentare la sicurezza delle persone all’interno della città stessa, rispondendo in modo tempestivo, puntuale e dinamico a qualsiasi problematica.

I punti cardine delle Smart City
Come già anticipato, secondo il campione delle persone intervistate, il 51% ha una conoscenza base dell’argomento, ma entrando nello specifico in realtà solo il 16% è sicuro di comprenderne appieno il concetto, mentre un più preponderante 35% ne ha un’idea vaga. A coloro che hanno almeno sentito nominare il termine, è stato chiesto che cosa evoca tale espressione e le parole più citate, oltre alla ovvia “tecnologia” sono state innovazione, efficienza ed ecologia.

Entrando più nello specifico con le domande si ha una differenziazione di risposte soprattutto in base all’età dell’intervistato: i giovani mettono in primo piano la sostenibilità e l’ecologia, mentre i più “maturi” hanno un occhio di riguardo verso la sicurezza e la gestione del traffico. Nell’ordine, mettendo insieme i numeri, troviamo:

  1. Attenzione ad ambiente e sostenibilità
  2. Sicurezza della città
  3. Efficienza energetica
  4. Mobilità intelligente

Quanto sono Smart le nostre città?
Una volta chiarite le maggiori attrattive, è stato chiesto agli intervistati di dare un voto da uno a dieci allo “Smartness” delle città nelle quali hanno vissuto ed i risultati, al momento, sono tutt’altro che mirabolanti. Solo tre città infatti raggiungono il famigerato 6 in pagella: Milano con un 6,2 alla quale seguono Bologna e Padova con un risicatissimo 6 pieno, mentre tutte le altre non raggiungono nemmeno la sufficienza nella percezione della popolazione. Eppure le città Smart sono una grande attrattiva: la maggioranza degli intervistati ha infatti dichiarato che si trasferirebbe volentieri in una Smart City perfettamente funzionante ed è una risposta che, anche se a scalare di percentuali, dai più giovani ai più anziani, trova riscontro in ogni fascia di età.

In prospettiva gli italiani sono comunque convinti che le città diventeranno sempre più smart, aumentando di una media di 1,2 l’ipotetico voto futuro. In generale comunque, allo stato attuale delle cose, la città non fornisce un’attrattiva davvero predominante, anzi. Il 37% degli intervistati sarebbe portato a lasciare la città di riferimento in cui vive per spostarsi in un paese. È un numero che sembra piccolo rispetto al 63% che non lascerebbe la propria città, ma chiedendo l’opposto a chi vive in paese solo il 27% lo lascerebbe per trasferirsi in una situazione urbanistica più grande.

Insomma, analizzando i numeri il potere respingente della grande città è ancora inferiore al suo potere attrattivo nella percezione della popolazione italiana. Il dato probabilmente più significativo della voglia di avere una città smart è che la maggior parte della fetta di popolazione intervistata sarebbe disposta persino a spendere circa 150 euro l’anno in più per renderla tale. Alzando la proposta “d’investimento” ovviamente la risposta positiva scende, ma che il 18% sia disposto ad arrivare a spendere anche 600 euro in più l’anno è comunque un dato da ritenere significativo.

È “smart” anche il lavoro?
Dopo la pandemia e parlando di smart city era impossibile lasciare fuori il nodo dello smart working, tematica che ormai è entrata a far parte delle nostre vite in modo più o meno aggressivo a seconda dei casi.

L’emergenza Covid ha spalancato quelle porte che in altre parti del mondo era già realtà da tempo, ma qui era visto (e da molti lo è ancora) come una chimera o comunque come qualcosa di molto meno funzionale rispetto alla presenza. Eppure il 79% della popolazione presa in esame ne da assolutamente una valutazione positiva come metodo lavorativo e vorrebbe continuare su questa linea. Di contro tuttavia, l’83% ritiene che ci sia ancora parecchia strada da fare per renderlo adeguato a determinati standard: le infrastrutture, i problemi di connessione e l’hardware non sempre all’altezza della situazione, rendono ancora difficile la piena efficienza dello smart working in svariate parti della nostra penisola.

In conclusione c’è una certa fiducia per il futuro, ma si ha la percezione di essere ancora indietro rispetto alle altre grandi capitali del mondo (Tokyo e Shangai su tutte), ma è appunto percezione e nulla di basato davvero su una conoscenza diretta. La verità è che si stanno facendo decisi passi avanti in Italia per rendere le città più sicure e sostenibili dal lato tecnologico e, se davvero altre grandi capitali europee sono ancora leggermente avanti, non sono sicuramente irraggiungibili.