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Guerra Russia-Ucraina, dipendenza da Mosca e rischio di finire tra gli “ostili”: così la linea delle Repubbliche dell’Asia centrale è cambiata

Se a inizio marzo la mozione di condanna al Consiglio dei diritti umani dell’ONU verso l’invasione russa dell’Ucraina aveva visto Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan astenersi e Uzbekistan e Turkmenistan non votare nemmeno, lo scenario si è ribaltato poco più di un mese dopo. Proiezione internazionale e dipendenza dalle rimesse: ecco Paese per Paese come gli Stati cercano di mantenersi in equilibrio

Prima del voto sulla sua espulsione dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU, poi avvenuta, stando ad alcune indiscrezioni la Russia avrebbe fatto circolare una nota tra alcune cancellerie per avvisare che avrebbe considerato come una mossa ostile un voto a favore o anche una semplice astensione. Messaggio che, scorrendo il risultato della votazione, sembra essere stato recepito molto chiaramente in Asia Centrale. Se a inizio marzo la mozione di condanna verso l’invasione russa dell’Ucraina aveva visto Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan astenersi e Uzbekistan e Turkmenistan non votare nemmeno, lo scenario si è ribaltato poco più di un mese dopo. Il 7 aprile, infatti, tra i 24 Paesi contrari all’estromissione di Mosca dall’organismo per la tutela dei diritti umani delle Nazioni Unite sono figurate quattro Repubbliche centro asiatiche su 5, con il solito isolazionismo del Turkmenistan, che ha evitato di esprimersi.

Questo cambio di linea così evidente è legato soprattutto alla grande dipendenza economica dell’Asia Centrale dalla Russia. Non è un caso che la decisione di opporsi all’estromissione di Mosca dal Consiglio da parte di Kazakistan, Uzbekistan Kirghizistan e Tagikistan sia arrivata solo pochi giorni dopo l’annuncio da parte del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov dell’introduzione di restrizioni alla possibilità di ottenere il visto per i cittadini dei Paesi considerati “ostili”. La causalità sembra evidente, considerando che ogni anno milioni di lavoratori partono dalla regione centro asiatica in cerca di un futuro professionale, avendo come meta prediletta proprio i grandi centri urbani russi, Mosca e San Pietroburgo su tutti. In altre parole, i governi dell’area non possono proprio permettersi di finire nella lista dei “cattivi” del Cremlino. Perché, se ciò avvenisse, oltre alla ricaduta economica dovrebbero probabilmente fare i conti con il malcontento interno dovuto all’impoverimento causato dall’interruzione della linfa vitale costituita dal flusso di rimesse inviato in patria. Flusso che, in ogni caso, secondo numerose stime è destinato a ridursi significativamente a causa delle sanzioni nei confronti della Russia e del crollo del rublo.

Vi è da dire, però, che fino a questo momento non sono mancate numerose stoccate tirate da alcune Repubbliche dell’Asia Centrale nei confronti dell’alleato di ferro settentrionale. Da questo punto di vista sono stati Kazakistan e Uzbekistan a porsi in prima linea. La loro proiezione economica internazionale – soprattutto quella kazaka – ha spinto i rispettivi governi a cercare di distanziarsi dal Cremlino. Pur cercando di non alienarsi completamente i favori di Mosca, le nette prese di posizione sono state varie. A fine marzo, ad esempio, il viceministro degli esteri kazako ha rilasciato un’intervista in cui ha dichiarato che il Kazakistan è pronto ad accogliere le aziende in uscita dalla Russia a causa delle sanzioni e che il suo Paese non vuole trovarsi costretto dietro una nuova cortina di ferro. Dopo pochi giorni, un altro alto funzionario kazako del gabinetto presidenziale ha ribadito il sostegno del Paese all’integrità territoriale dell’Ucraina e la volontà di Nur-Sultan di conformarsi totalmente alle sanzioni imposte alla Russia. D’altro canto, a ulteriore dimostrazione della necessità del Kazakistan di trovare un difficile bilanciamento diplomatico, dopo poche ore il presidente kazako, Tokayev, ha avuto una conversazione telefonica con Putin da cui è emerso un allineamento sulla necessità di raggiungere un accordo che preveda che l’Ucraina rimanga neutrale.

Anche l’altro gigante regionale, l’Uzbekistan, ha compiuto dei passi per provare a sganciarsi dalla retorica russa. Il ministro degli esteri di Tashkent, Kamilov, ha sottolineato il supporto del Paese all’integrità territoriale e all’indipendenza dell’Ucraina e chiesto l’immediata cessazione dell’intervento armato. Proprio il capo della diplomazia uzbeca è però poi finito al centro di un giallo. Stando a quanto dichiarato dal ministero degli Esteri, poche ore dopo il suo discorso Kamilov ha dovuto lasciare l’Uzbekistan per sottoporsi a trattamenti medici in un non meglio precisato Paese estero. Secondo alcune voci non confermate, però, la sua uscita di scena sarebbe stata legata alla forte irritazione del Cremlino per una così palese presa di distanza dalla Russia.
Molto più appartati sono stati invece Tagikistan e Kirghizistan, con quest’ultimo che all’inizio dell’invasione russa si è anzi esposto a favore di Mosca, posizione in seguito parzialmente rientrata. La loro prudenza è legata alla grandissima dipendenza dalle rimesse, che pesano per circa un terzo del Pil complessivo per ciascuno di essi. Inimicarsi la Russia, in una fase post pandemia in cui come già visto il flusso di denaro in entrata è destinato a ridursi significativamente e i prezzi ad aumentare, nel loro caso vorrebbe dire fare i conti con un disastro economico domestico.

Allargando lo sguardo alla dimensione regionale e a quella geopolitica, è evidente come la votazione del 7 aprile alle Nazioni Unite sia indicativa del grandissimo peso di cui Mosca dispone ancora nella regione centro asiatica. Certo, la Cina, grazie anche ai suoi grandiosi investimenti e prestiti, ha forse scalzato la Russia come primo partner commerciale dell’area, ma la Federazione mantiene un’influenza economica, politica e militare che difficilmente potrà mai essere del tutto sostituita. O meglio, un modo, perlomeno dal punto di vista economico, ci sarebbe. Se i regimi più o meno autoritari dell’area fossero infatti finalmente in grado di modernizzare le rispettive economie e garantire un futuro professionale ai milioni di cittadini che ogni anno sono costretti a emigrare verso la Russia, l’influenza di quest’ultima potrebbe essere ridotta. Un po’ come quello che l’Europa sta faticosamente cercando di fare sul fronte energetico per affrancarsi dalla dipendenza dal gas naturale che arriva da Mosca. Ma la strada, in Asia Centrale, e non solo per le grandi catene montuose che ne incorniciano una parte, sembra ancora più in salita.