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Guerra Russia-Ucraina, l’analisi del generale Bertolini: “Putin si riposiziona verso i reali obiettivi. Kiev? Diversivo tattico e politico”

L'ex comandante del Coi analizza le manovre dell'esercito che lascia il quadrante occidentale per riconcentrare l'attacco sul Donbass. La caduta della roccaforte sul mar d'Azov potrebbe portare a una svolta nella concretezza dei negoziati. Critiche sulla scelta di inviare armi che, prolungando la resistenza, allontanano la soluzione negoziale ed espongono i civili

Il generale Marco Bertolini, ex comandante del Comando operativo interfoze (Coi) e della Folgore, non ha dubbi. Il “riposizionamento” delle forze russe in corso non è affatto una ritirata, un ripiegamento, ma la logica conseguenza dei progressi tattici conseguiti sul campo dall’esercito di Putin, che ora può concentrare lo sforzo sugli obiettivi reali della sua “operazione speciale”, vale a dire l’area del Donbass, dove lo sforzo bellico si sta riconcentrando con una potenza di fuoco da far temere l’assalto all’ultima improbabile resistenza. Lo contattiamo mentre una lunga colonna di mezzi muove dalla Bielorussia. Non si capisce dove sia diretta, ma non certo a Kiev o alle altre città del quadrante occidentale che fino a pochi giorni fa impegnavano su vari fronti truppe e mezzi della guardia nazionale. Per Bertolini Putin non ha sbagliato tutto, mentre l’Europa (e l’Italia) avrebbero molto da rimproversarsi. A partire dalla scelta di inviare le armi.

Come legge le manovre in corso?
Mi pare ormai chiaro che quelle nella parte ovest dell’Ucraina, a partire da Kiev, fossero solo un grande diversivo tattico e politico da parte di Putin. Aveva dichiarato fin dall’inizio che l’obiettivo erano i distretti del Donetsk e del Lugansk, la Crimea e il Donbass. Per perseguirlo ha impegnato una parte importante dell’esercito su obiettivi che possiamo definire “sussidiari”, utili cioè ad impegnare le forze ucraine nella difesa della capitale e a tenere alta la tensione internazionale sulla portata del conflitto e il rischio di eventuali ingerenze. Ma era chiaro fin dal dispiegamento delle forze che non ha mai avuto intenzione di conquistare tutta l’Ucraina, né di conservarla.

E’ questo che legge nelle “mappe” delle manovre in corso?
Gli spostamenti in corso suggeriscono proprio questo, che la tattica d’impegno nel quadrante ovest ha funzionato, e ora che ha raggiunto questi scopi Putin può riconcentrare le forze verso i suoi reali obiettivi. Il ritiro da Kiev e Chernihiv sembra anche funzionale a diminuire la pressione politicamente sensibile in una fase in cui, dal punto di vista tattico-strategico, sta ottenendo risultati apprezzabili.

Gli Usa avvertono che il conflitto può durare anni. Quanto può resistere Mariupol?
Difficile dirlo, ma per quanto si riesca a far defluire armi e cibo dall’occidente non saranno mai abbastanza per sovvertire un epilogo che appare scontato. Da quanto mi risulta la resistenza viene esercitata dalle milizie di questo battaglione Azov di stampo nazionalista e a tratti nazista, che però non può resistere all’’infinito. Sono abbastanza convinto che proprio la caduta di Mariupol possa segnare la svolta del negoziato, perché sia finalmente una trattativa seria.

Sembra quasi auspicare la resa della città
Non sarà certo ripresa perché manderemo un po’ di armi ora, quelle servono a mantenere acceso un fuocherello che invece sarebbe bene spegnere, prima di assistere ad altri massacri e prima che si arrivi a farlo con la resa di uno dei due e non con un negoziato “tra” i due. E’ lo stesso film dell’Afghanistan: quella guerra è durata 20 anni, possiamo permettercelo alle porte dell’Europa? Non voglio dire che Zelensky dovrebbe dichiarare la resa, ma che prolungare una guerra come questa non fa vincere nessuno, allontana il dialogo tra le parti, e aumenta il tasso di morti, di violenze, costi sociali ed economici su tutti i fronti.

Un altro generale che ripudia le armi?
Dico solo che non era mai successo. L’Italia non ha mai dato le armi a nessuno. Non le ha date alla Somalia che aveva a che fare con una variante dell’Isis. Ancora oggi abbiamo un piccolo contingente a Mogadiscio che fa addestramento. Gli abbiamo dato uniformi, camion. Ma io ero lì e ci chiedevano armi, ma non gliele abbiamo date e sa perché? Perché non usiamo alimentare i conflitti, ed è lo stesso criterio che abbiamo usato in altre situazioni in cui c’era un popolo aggredito.

Ma adesso la guerra è alle porte dell’Europa
Proprio perché il pericolo è maggiore credo sia stata una scelta discutibile. Capisco che non siamo mai stati inondati come in questa fase di immagini, notizie, appelli ed era difficile sottrarsi. Ma proprio perché il conflitto è a due passi da noi bisognava spegnerlo prima possibile, non tenerlo acceso alimentando una resistenza di poche speranze. Fossimo stati dall’altra parte dell’Atlantico potevamo dire “sì sì diamogliele”. Ma questo conflitto è a due passi da casa nostra e può espandersi come fa il virus, infettare il nostro Continente in un attimo. Se poi perdura, ci sarà un traffico incontrollato di soldati, armi e uomini da ogni parte del mondo, già succede. Tutto è possibile quando si armano centinaia di migliaia di persone col compito di ammazzarne altre. Le immagini di Bucha lo dimostrano.

Scusi, generale, si rende conto che parla come un pacifista?
Dal 24 febbraio mi chiedo se l’Europa e l’Italia avessero altre opzioni possibili. Ma nel frattempo è successo qualcosa che francamente mi ha spiazzato. Da quel giorno è soffiato un vento di guerra in tutta Europa che si è spinto oltre la condanna della criminosa invasione di Putin dell’Ucraina investendo tutto ciò che è russo: ricorda le battaglie contro i corsi su Dostoevskij? Ecco, ritengo che ai rulli di tamburo potevano aggiungersi altre voci, diverse, che consigliavano prudenza, mediazione. Nel nostro Paese questo pensiero c’è, ma è largamente minoritario e schiacciato da una repentina quanto inattesa spinta alla coesione e all’unità dell’Europa. Ma questa coesione e questo interventismo l’Europa non l’aveva fino a ieri, quando si trattava di altri conflitti, come quello in Libia, o quando si è trattato di affrontare il problema migratorio. Penso che quell’istanza per la mediazione “a tutti i costi”, che ritengo ancora legittima e non ipocrita, avrebbe potuto trovare una strada, se solo avessimo avuto una politica estera forte.

Si può mediare mentre parlano le bombe e massacrano civili?
Da un lato e dall’altro mi pare evidente il gioco di alzare la posta. Zelensky sembrava disponibile a tutto, dalla neutralità all’indipendenza di Donbass e Crimea. Continua a dire che bisogna arrivare al negoziato con Putin ma dall’altra parte chiede di processarlo a Norimberga. Non è lineare. Chiaro che l’elemento psicologico fa molto, così come i condizionamenti esterni. Un giorno ti senti supportato e fai la voce grossa, l’altro no. Del resto anche nel campo opposto c’è chi lavora per non facilitare le cose. Chi ha compiuto i massacri dei civili non ha fatto certo un favore a Putin che deve negoziare i propri obiettivi con il peso di quelle accuse.

Ecco, parliamo di queste benedette/maledette spese per la difesa
Qui abbiamo toccato davvero il colmo dell’ipocrisia. L’Italia si scopre bellicista, ma se la guerra la devono fare gli altri. Se si deve passare dall’1,1% al 2% di spese per la Difesa allora no, ripudia le armi. Ma a quel 2% dovremmo tenerci se teniamo a restare un paese sovrano, perché senza una difesa adeguata non lo si è. Fa scandalo quel 2%? A me fa scandalo che lo si debba nascondere dietro le richieste della Nato, quando avere uno strumento militare adeguato e che funzioni è cosa ovvia e giusta, specie per un Paese che si trova in mezzo al Mediterraneo che è un pentolone in continua ebollizione.