Lavoro & Precari

Caporalato, 15 misure cautelari fra Calabria e Basilicata. Sequestrati beni per 15 milioni di euro a 10 aziende agricole

Sei persone sono state portate in carcere, mentre nove si trovano ai domiciliari: le accuse vanno dalla intermediazione illecita allo sfruttamento del lavoro, fino alle minacce e all'estorsione. In un caso, sembra che sia stata negata assistenza ad un lavoratore che si era stirato una gamba dopo aver caricato oltre 630 cassette di pomodoro

I carabinieri del Reparto territoriale di Corigliano-Rossano (Cosenza) e del Comando per la Tutela per il Lavoro, con la collaborazione dei colleghi del comando di Crotone e Matera, hanno eseguito un blitz che ha portato a 15 arresti nell’ambito di un’indagine svolta contro il caporalato: fra le persone coinvolte, arrestate tra Calabria (tra le province dei Cosenza e Crotone) e Basilicata (Matera), sei sono stati portati in carcere, mentre nove si trovano ai domiciliari. L’operazione delle forze dell’ordine è scattata all’alba questa mattina, con l’intento di portare alla luce il fenomeno dell’impiego di lavoratori in condizioni illecite: le accuse rivolte agli imputati vanno dalla intermediazione illecita allo sfruttamento del lavoro, fino alle minacce e all’estorsione.

Nell’ambito delle indagini, coordinate dalla procura di Castrovillari (Cosenza), è stato disposto il sequestro preventivo di beni e quote aziendali di 10 imprese che operano nel settore agricolo: di queste, 4 si collocano in provincia di Cosenza, 5 in provincia di Crotone e 1 in provincia di Matera. Sono inoltre stati apposto sigilli a 5 veicoli che sarebbero stati usati dai presunti caporali per il trasporto dei lavoratori in nero. In totale, si stima che il valore dei beni sequestrati ammonti a circa 15 milioni di euro.

Gli investigatori hanno esaminato la condotta degli indagati nell’arco di tempo tra il 2018 e il 2021, avvalendosi della denuncia delle vittime, accertando il “reiterato ricorso a minacce, anche di morte ed atti di violenza“. La condotta degli indagati sarebbe stata finalizzata ad obbligare lavoratori di varie nazionalità (gambiana, nigeriana, romena) ad accettare retribuzioni dai 15 ai 30 euro per oltre 12 ore di lavoro al giorno nei campi, prospettando loro che in caso diverso sarebbero stati licenziati.

Le indagini hanno inoltre consentito di provare le responsabilità penali degli arrestati per le “ripetute violazioni della normativa a tutela dei lavoratori in materia di igiene e sicurezza sui posti di lavoro, orario di lavoro e riposi (che potevano durare tra i 10 e i 30 minuti)”. In un caso, sembra che sia stata negata assistenza ad un lavoratore che si era stirato una gamba dopo aver caricato oltre 630 cassette di pomodoro. Sembra che inoltre sia stato documentato che i caporali esigessero la restituzione di parte dello stipendio e che istruissero i lavoratori su come agire nel caso in cui si verificasse un controllo della polizia.