Diritti

Gravidanze non pianificate, la crisi trascurata: “Violenze, lacune nella salute sessuale e contraccezione inadatta. Fallimento globale nella tutela dei diritti delle donne”

Lo denuncia il più recente Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo curato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA). In Italia viene tradotto da Aidos, la presidente Panunzi: "I dati permettono di studiare azioni politiche volte al miglioramento dell'accesso alla salute per le donne anche nel nostro Paese"

La metà circa di tutte le gravidanze che avvengono ogni anno nel mondo non sono frutto di una scelta. Sono circa 121 milioni le donne, 331 mila al giorno in media, che incorrono in gravidanze non intenzionali. Lo denuncia il più recente Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo curato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), l’Agenzia ONU per la salute sessuale e riproduttiva, quest’anno intitolato “Vedere l’invisibile. Le ragioni per affrontare la crisi trascurata delle gravidanze indesiderate”.

“Questo rapporto vuole essere un campanello d’allarme. Il numero sbalorditivo di gravidanze indesiderate rappresenta un fallimento globale nel sostenere i diritti delle donne e delle ragazze”, afferma Natalia Kanem, la direttora esecutiva di UNFPA. “Il rapporto è un documento molto atteso in Italia, come la sua traduzione in italiano che esce nei prossimi mesi a cura di Aidos. Il rapporto ha sempre una grande attenzione dalla stampa italiana ma soprattutto viene accolto, presentato e diffuso nelle università italiane, nelle associazioni. I dati prodotti da UNFPA ogni anno sulla salute sessuale e riproduttiva sono un punto di riferimento per diritti di donne e ragazze e permettono di studiare azioni politiche volte al miglioramento dell’accesso alla salute per le donne anche nel nostro paese”, afferma Maria Grazia Panunzi, presidente di AIDOS (Associazione italiana donne sviluppo). Al fenomeno, contribuiscono una serie di fattori: mancanza di accesso a servizi e informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva; opzioni contraccettive non adatte al corpo o alle circostanze in cui vivono le donne; norme dannose e stigma che colpiscono le donne che vogliono avere il controllo sulla propria fertilità e il proprio corpo; violenza sessuale e coercizione riproduttiva. Il Rapporto è stato presentato oggi in contemporanea mondiale. In Italia ne hanno parlato in videoconferenza Marina Sereni (vice ministra agli Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, Mariarosa Cutillo (Chief of Strategic Partnerships di Unfpa). Valeria Fedeli (Gruppo di lavoro parlamentare “Salute globale e diritti delle donne” – Senato della Repubblica), e Maria Grazia Panunzi.

Che cosa succede prima di una gravidanza non voluta e quali sono i fattori che la determinano, cosa accade durante e dopo, sono altrettante linee di approfondimento di questo Rapporto, che pone la questione sotto diversi aspetti. Si evidenziano, infatti, sia le condizioni socio-culturali delle scelte riproduttive che l’importanza dei contesti culturali che le plasmano: “La storia delle gravidanze non desiderate riflette il modo in cui una società dà o non dà valore alle donne”, è scritto nel Rapporto. Le parole usate per descrivere il fenomeno e le categorie per interpretarlo sono definite con cura, a partire dalla distinzione tra gravidanze non pianificate (uninteded) e non volute (unwanted). Il Rapporto sottolinea che il concetto stesso di “intenzionalità” in ambito riproduttivo varia a seconda dei contesti culturali e può rivelarsi insidioso se non problematizzato nella raccolta ed analisi dei dati. L’approccio binario “voglio/non voglio”, si suggerisce nel Rapporto, è imperfetto perché difficilmente coglie le ambivalenze entro cui si sviluppano le scelte riproduttive.

Tuttavia non c’è dubbio, dati alla mano, che poter scegliere è una questione di vita o di morte per milioni di donne e ragazze. Se una parte di gravidanze non pianificate può incontrare il desiderio di genitorialità delle donne, soprattutto nelle culture che favoriscono un atteggiamento fatalista alla nascita, una parte delle gravidanze non volute termina in aborto spontaneo e una parte è volontariamente interrotta, troppo spesso in condizioni non sicure. Il Rapporto, ribadisce, infatti, che leggi restrittive sull’aborto non ne riducono l’incidenza e che le complicazioni in gravidanza e parto sono la prima causa di morte tra le donne di età compresa fra i 15 e i 19 anni. Un capitolo del documento è focalizzato sui costi individuali e sociali delle gravidanze non pianificate. Costi difficili da descrivere per la quantità di fenomeni che comprendono: l’impatto sul mercato del lavoro, la spesa per i sistemi sanitari, le conseguenze sulla salute mentale e quelle sulla salute fisica (la correlazione con il rischio di mortalità e morbilità materna è, spiega il Rapporto, supportata dai dati). Vi sono da considerare, inoltre, le conseguenze sui bambini e sulle bambine: alle gravidanze indesiderate si associa una maggiore frequenza di mancate cure pre e post natali.

Ricca di nuovi elementi di analisi è anche la parte sulla contraccezione. Si stima che, globalmente, 257 milioni di donne che vogliono evitare la gravidanza non usino mezzi contraccettivi sicuri e moderni e, di queste, 172 milioni non ne usino affatto. Agli ostacoli già conosciuti – la scarsità di conoscenza e la mancanza di accesso ai contraccettivi, che non sarebbero più i fattori determinanti del mancato uso – se ne sono aggiunti e consolidati altri: preoccupazioni sugli effetti collaterali, falsi miti, stigma e opposizione da parte del contesto sociale. I fallimenti nell’uso dei contraccettivi avvengono dieci volte di più tra le ragazze che tra le donne adulte e proprio tra le giovani è più alta la mortalità per complicazioni legate a gravidanza e parto. Un focus è dedicato alla contraccezione maschile: risultano in via di sperimentazione almeno 40 nuovi tipi di contraccettivi maschili, ma nessuno di essi ha finora ottenuto il supporto necessario per arrivare al consumatore finale.

L’incidenza delle gravidanze non pianificate varia ampiamente da regione a regione e con ampie differenze all’interno delle stesse regioni. In Europa e Nord America la percentuale è di 25 su 1000 ogni anno, in Asia centrale e del Sud di 64 su 1000, nell’Africa sub Sahariana di 91, con ampie differenze al suo interno (si va ad esempio dal dato di 49 in Niger al dato di 149 in Uganda).

In sostanza, tale incidenza è collegata al livello di gender equality che c’è nel paese. Nel documento prodotto da UNFPA troviamo una quantità di dati ed elementi di analisi sui fattori che implementano la cosiddetta agency, ovvero di tutto ciò che consente alle persone di far leva sulle risorse disponibili per sfuggire a dinamiche di oppressione e far valere le proprie scelte. L’accesso all’istruzione, ai servizi, all’autonomia economica variano nei contesti nazionali in relazione agli stereotipi di genere: una società che dà valore all’istruzione formale delle ragazze – come è descritto dalle ricerche citate nel rapporto – implicitamente accoglie l’idea che donne e ragazze abbiano da offrire più che non esclusivamente maternità e cura dei figli.