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Guerra Russia-Ucraina, gli alleati Usa e Ue con interessi diversi: un conflitto prolungato porterebbe dei vantaggi solo a Washington

Mentre l'Europa mette a punto nuove sanzioni, dalla Casa Bianca, un po' come da Londra, si punta ogni volta ad alzare sempre più l'asticella. Un atteggiamento che dimostra, oltre alle minori implicazioni economiche di Washington, anche le diverse mire dell'amministrazione Biden a medio e lungo termine

Mentre il conflitto ucraino procede senza sosta ai confini dell’Europa, nel Vecchio Continente arriva l’altro grande alleato del governo di Kiev nella battaglia contro il Cremlino. Il presidente americano Joe Biden prenderà parte infatti ai vertici Nato, G7 e infine al Consiglio europeo di domani. Washington e Bruxelles sono alleati nel sostegno all’Ucraina dopo l’invasione russa, ma non necessariamente su posizioni sovrapponibili riguardo alla durata e alle aspirazioni legate al conflitto. In questa fase della guerra, Unione europea e Stati Uniti sono ancora allineati su posizioni simili, ma il differente approccio comunicativo e la maggiore pressione sollecitata dal presidente americano su Mosca lasciano intendere che le aspirazioni di Washington siano quelle di alimentare il più possibile la resistenza di Kiev, indipendentemente dalle conseguenze economiche (per il Vecchio Continente) e in termini di vite umane. Mentre l’Europa mette a punto nuove sanzioni, dalla Casa Bianca, un po’ come da Londra, si punta ad alzare sempre l’asticella. Pressione dimostrata, in qualche modo, anche dal discorso di Mario Draghi in Parlamento in occasione dell’intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: il giorno dopo la telefonata avuta con Emmanuel Macron, Joe Biden, Olaf Scholz e Boris Johnson, il presidente del Consiglio ha riaffermato con forza in aula la volontà del governo di favorire l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea e di inviare nuove armi alla resistenza di Kiev. Scelta, quest’ultima, arrivata dopo le indiscrezioni uscite dal Pentagono secondo le quali la Difesa Usa auspicava un maggiore impegno italiano nella fornitura di armamenti.

DISCONNESSIONE UE-RUSSIA – Quando Vladimir Putin ha deciso di invadere il Paese di Zelensky aveva probabilmente puntato sulle divisioni interne all’Ue e anche su un possibile sgretolamento della Nato, divisa tra la volontà americana, in effetti emersa, di rispondere duramente all’offensiva del Cremlino e quella dei Paesi europei di limitare i danni economici conseguenti alle sanzioni. Questo mese di scontri ha invece mostrato un’Europa compatta al suo interno e disposta a sposare la strategia del pugno duro contro Mosca, anche a costo di ingenti costi economici.

Questo nei primi 30 giorni, ma non è detto che la situazione non possa cambiare con un allungamento del conflitto. Certamente questo non farebbe piacere a Bruxelles e alle cancellerie europee, costrette a resistere a perdite economiche e blocchi commerciali ai quali dovrebbe far fronte. Non farebbe piacere alla Russia, costretta comunque a sostenere gli enormi costi di un conflitto fino ad oggi alleviati in parte dagli introiti della vendita di gas. Non dispiacerebbe invece agli Stati Uniti che potrebbero così trarne un doppio vantaggio economico e strategico: da una parte con la necessità dell’Unione europea di differenziare alcuni suoi mercati fino ad oggi legati alla Russia, dall’altra, appunto, creando una sempre maggiore spaccatura, non sanabile nel breve periodo, tra il Vecchio Continente e la Federazione, rafforzando l’influenza americana in Europa messa a rischio negli ultimi anni dall’ascesa dei gruppi nazional-populisti che guardano più a Mosca che a Washington o Bruxelles.

DECISIVE LE PROSSIME SETTIMANE – Ma sulle aspirazioni americane pesa l’esito del conflitto. Se le truppe russe dovessero effettivamente impantanarsi di fronte alla resistenza ucraina, gli Stati Uniti, ma anche Kiev e Bruxelles, ne uscirebbero positivamente, con Vladimir Putin che dovrebbe a quel punto scegliere tra sedersi a tavolo da un a posizione di debolezza, portare avanti una guerra di logoramento o prendere la decisione estrema di bombardare a tappeto le città, magari usando armi non convenzionali. Nel caso in cui, invece, i russi dovessero velocemente sfondare nelle città, la situazione verrebbe ribaltata, con Putin che avvierebbe i colloqui di pace da una posizione di forza.

Ipotesi, quest’ultima, che provocherebbe un indebolimento dell’Unione europea che gli Stati Uniti per primi non vogliono, dato che il fronte su cui intendono concentrare le proprie attenzioni ormai da anni è quello del Pacifico. Hanno quindi bisogno di una Ue forte proprio per contrastare la forza della Federazione russa, senza un impegno eccessivo da parte delle truppe (e delle risorse) di Washington.

UN OCCHIO ALLA CINA – Un’estensione della durata del conflitto non solo potrebbe mettere in ginocchio Mosca, ma anche creare sempre più problemi al grande competitor mondiale di Washington, ossia la Cina. Xi Jinping si trova in una posizione scomoda. Da una parte non può ergersi a difensore della causa putiniana, dato lo squilibrio degli scambi commerciali intrattenuti con Ue e Usa rispetto a quelli con Mosca, decisamente inferiori, e data anche la volontà di penetrare ulteriormente nel mercato europeo. Dall’altra, in vista anche del Congresso del Partito Comunista di ottobre, il leader cinese non può nemmeno scaricare l’amico Putin, mai definito però “alleato”, scelta che si trasformerebbe in un’ammissione di colpa implicita dopo l’appoggio pubblico fornito in occasione della cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici di Pechino. La conclusione della guerra risolverebbe il problema al presidente cinese, ma questo lo sanno anche a Washington. Per questo prolungare il conflitto può essere anche una strategia per logorare la Repubblica Popolare.