Calcio

La grande ipocrisia del calcio inglese: tutti contro Abramovich con 19 anni di ritardo. E il Chelsea? “Giocheremo finché avremo le maglie”

Nel 2003 nessuno ebbe da ridire sui soldi con cui l'oligarca vicino a Putin acquistò il club. Che oggi, a causa delle sanzioni contro il patron, rischia seriamente di fallire o di essere svenduto. A chi? Si fa avanti l'ipotesi di un fondo saudita, lo stesso paese da cui arriva il nuovo proprietario del Newcastle e che qualche giorno fa ha giustiziato 81 persone accusate di terrorismo

La storia è compressa fra due voli privati. Il primo risale a un periodo indefinito che la tradizione orale colloca all’inizio del 2003. Un magnate russo sorvola Stamford Bridge a bordo del suo elicottero e se ne innamora. È una sindrome di Stendhal piuttosto particolare. Non toglie il fiato ma spinge a compilare assegni. Il capriccio è esoso: 130 milioni di euro. Spiccioli per un uomo che ha un patrimonio personale di oltre sei miliardi. In un giorno di luglio il magnate russo diventa il proprietario del Chelsea Football Club. È l’inizio di un periodo glorioso. Perché Roma non è stata costruita in un giorno, ma “the Roman Empire”, l’impero di Roman Abramovich, sì. L’altro aereo è decollato qualche giorno fa e ha portato il Chelsea, campione d’Europa e del mondo a Lille per la gara di ritorno degli ottavi di finale di Champions League.

Un volo come tanti se non fosse per un unico particolare: non ce ne saranno altri. I soldi sono finiti, bisogna fare economia. Su tutto. Il club che spende 325mila sterline a settimana solo per lo stipendio di Lukaku ora non può investire più di 25mila euro per organizzare una trasferta. Significa niente più jet privati che sfrecciano per i cieli d’Europa, solo pullman che rotolano lentamente lungo le strade del Regno. È la scarnificazione di una falange oplitica che viene ridotta ad armata brancaleone. Armiamoci e partiamo. Ma bisogna prima capire come. La nuova fase di ristrettezze verrà inaugurata sabato, quando i blues giocheranno i quarti di finale di FA Cup contro il Middlesbrough, nel Nord Yorkshire. Fanno quattrocento chilometri ad andare. E altrettanti a tornare. Da coprire necessariamente con un mezzo a gomma, per un minimo di dieci ore di viaggio. “Finché avremo le magliette, finché siamo una squadra saremo competitivi”, ha giurato Thomas Tuchel. Che poi si è detto pronto a mettersi anche alla guida del pullman societario se necessario.

È un’immagine che racconta piuttosto bene il momento del Chelsea, club diventato sinonimo di glamour e di opulenza e che all’improvviso si riscopre sporco, brutto e cattivo. Ma soprattutto povero. Tutto a causa del ban ricevuto del Governo inglese, che ha deciso di congelare i beni di Roman Abramovich dopo aver scoperto, con 19 anni di ritardo, che il magnate russo è in verità un oligarca amico di Putin. Una giustizia differita che ha trasformato il Chelsea in un organismo capace solo di sopravvivere. E anche con qualche difficoltà. I blues non possono rinnovare contratti, non possono operare sul mercato, non possono vendere i biglietti per le partite a Stamford Brigde, non possono vendere merchandising. Ma non c’è niente di più maestoso di una divinità che finisce nella polvere, del tiranno che si trasforma zimbello. Così i blues sono diventati il punching ball di tutti. Qualche giorno fa gli altri club inglesi si sono lamentati del fatto che il congelamento dei beni di Abramovich cancellerebbe i due miliardi di crediti che l’oligarca vanta nei confronti del Chelsea, rendendo di fatto il club più competitivo sul mercato.

Un pericolo per tutti, visto che c’è una regolarità del campionato da preservare. Tutto giusto, ci mancherebbe, anche se trasformare la terza in classifica in uno zombie a metà torneo non è esattamente un inno alla parità di trattamento. Il tiro al bersaglio, però, è appena iniziato. Dopo aver appreso la notizia di non poter vendere i biglietti ai tifosi per la trasferta contro il Middlesbrough, il Chelsea se n’è uscito con una proposta strampalata, chiedendo di giocare la partita a porte chiuse. I biancorossi, sesti in Championship, hanno risposto con una nota: “Riteniamo che il suggerimento sia bizzarro e senza senso. Siamo consapevoli dei motivi per cui il Chelsea è stato sanzionato, ma questo non ha nulla a che fare con noi. I nostri tifosi non dovrebbero essere penalizzati. Sarebbe ingiusto”. Poi però sulla questione si è espresso anche il proprietario del Middlesbrough, Steve Gibson, che ha usato toni molto diversi: “Chelsea e integrità sportiva non possono stare nella stessa frase”, ha detto. E ancora: trofei ottenuti dai blues provengono “dal denaro corrotto di Abramovich”.

Piccolo dettaglio: durante il “Roman Empire” i due club si sono affrontati due volte, senza che nessuno mai sentisse il bisogno di puntualizzare la provenienza dei soldi di Abramovich. La Tre, ossia il main sponsor che compare sulle maglie del club, ha deciso di ritirare il suo logo in modo da evitare quella pubblicità negativa che potrebbe derivare dall’essere identificato con una squadra di proprietà di un oligarca russo. Anche Jurgen Klopp, uno sempre particolarmente lucido, si è espresso sulla questione. “Non conosco il ruolo di Roman Abramovich in tutto questo, ma forse ha qualche legame. Quel che ha fatto il governo britannico è giusto, è stato onesto al 100%. Certo, non è il massimo per chi è al Chelsea. O per i tifosi, lo capisco. Ma scusate è importato a qualcuno quando Abramovich ha acquistato il Chelsea? I tifosi si sono preoccupati? Sapevano da dove venivano quei soldi ma lo abbiamo accettato. Solo che ora non ci va bene e copriamo tutto con le sanzioni“. Il problema non riguarda tanto l’atteggiamento dei tifosi, ma quello del Governo inglese.

La giustizia di Londra ha fatto sapere di voler aprire un procedimento penale sula famosa acquisizione che ha trasformato Abramovich da imprenditore a multimilionario: il giovane Roman, insieme al suo socio Berezovskij, acquistò per cento milioni di euro in un’asta senza altri concorrenti la neonata, nel senso di nata proprio la sera prima, società petrolifera statale Sibneft, che dieci anni dopo avrebbe raggiunto un valore di 18 milioni di euro. Un’idea ammirevole se non fosse che la compravendita è avvenuta 27 anni fa. Un dettaglio sfuggito alle maglie del tempo. Così come quello che è successo domenica scorsa, in Chelsea-Newcastle. Prima della partita i tifosi dei blues hanno intonato alcuni cori in favore di Roman Abramovich, che durante la sua gestione ha regalato 21 trofei a una squadra che non vinceva il titolo nazionale. Decibel che non hanno fatto piacere al Governo, che ha chiesto di smetterla definendo quei canti “inopportuni”. Nell’altra curva, però, i tifosi del Newcastle inneggiassero alla nuova proprietà del club (che solo a gennaio ha investito 102 milioni di petrodollari nel mercato) sventolando la bandiera verde con la spada bianca appena 24 ore dopo che l’Arabia Saudita aveva giustiziato 81 persone accusate di terrorismo.

Stavolta il Governo inglese ha deciso di soprassedere. Anzi, no. Perché due giorni più tardi il ministro dello Sport britannico, Nigel Huddleston, ha detto: “Le relazioni fra il Regno Unito e l’Arabia Saudita sono molto importanti per quanto riguarda gli investimenti, l’intelligence e la cultura. Diamo il benvenuto agli investimenti sauditi. Molti, molti posti di lavoro nel Regno Unito dipendono dalla relazione fra i due Paesi, ma cogliamo l’opportunità di parlare francamente e apertamente con l’Arabia Saudita”. Non un dettaglio da poco. Fino a venerdì, infatti, gli interessati all’acquisto del Chelsea possono presentare la loro offerta, che poi verrà vagliata dal Governo. E i rumors raccontano che l’offerta più sostanziosa per il club venga proprio da una cordata saudita. Strappare via il Chelsea ad Abramovich per affidarlo a un fondo proveniente da un Paese dove i diritti umani vengono costantemente calpestati sarebbe quanto meno imbarazzante. Ma come ha fatto Martin Samuel sul Daily Mail: “Se abbiamo fatto entrare i sauditi a Newcastle, su che base si potrebbe respingerli per il Chelsea?”.