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Tonica, Giorgia Soleri e la vulvodinia: “Cercavo di espellere un goccio di urina intriso di sangue, viscere in fiamme. Speravo di non risvegliarmi più”

La ragazza ospite di Andrea Delogu su Rai2: "Stasera sono qui, rinunciando alla mia privacy come tante altre persone e mettendo il mio dolore alla mercè di chiunque solo per chiedere a gran voce un diritto: il riconoscimento sociale, politico, medico ed economico di una malattia ancora sottovalutata ma estremamente invalidante come la vulvodinia"

Tra gli ospiti di Tonica – il programma condotto da Andrea Delogu su Rai 2 – martedì 8 marzo anche Giorgia Soleri, la fidanzata di Damiano dei Maneskin. La ragazza, 26 anni, è tornata a parlare della vulvodinia, la malattia che la affligge da tempo e di cui si è fatta portavoce per chiedere maggiore considerazione e aiuti per chi ne soffre. “L’anno in cui ho iniziato a stare male è stato quello in cui ho iniziato a lavorare, l’anno del primo tatuaggio, l’anno della scoperta del sesso”, ha esordito Soleri. Poi ha spiegato: “Avevo 16 anni, da allora sono sempre stata accompagnata dal dolore come un’ombra. Ci sono stati anni in cui mi svegliavo con il dolore, mangiavo con il dolore, andavo a scuola – quando ci andavo – con il dolore, andavo a letto con il dolore. È stato il mio compagno più devoto: silenzioso ma sempre presente, ossessivo e possessivo, tanto da allontanare tutto e tutti, come nella più classica delle relazioni tossiche”.

C’è chi le ha dato della pazza o dell’ansiosa, della stressata o la accusava di inventare i sintomi: “In tanti momenti sono arrivata a crederci e a considerare quel dolore parte di me. Giorgia è il dolore, il dolore è Giorgia: una cosa sola – ha continuato la ragazza -. Passavo le nottate cercando di espellere un goccio di urina intriso di sangue che mi lacerava fino allo stomaco con le viscere in fiamme. Andavo a letto stremata sperando di non svegliarmi al mattino, perché quella non era vita“. E ancora ha raccontato: “Non so più nemmeno quante cose ho perso per colpa del mio dolore. Mi hanno visto decine di specialisti, sono stata ricoverata in decine di ospedali. Sono svenuta per strada. Tutto questo è durato otto lunghi anni fino a quando, due anni fa, questo dolore finalmente ha preso un nome e si è materializzato per tutti. Per me è sempre stato concreto, di invisibile c’era solo il nome: vulvodinia, contrattura pelvica e neuropatia del pudendo, anche detto “dolore pelvico cronico”. Vi sembrerà strano ma ho pianto di gioia: per tanti il momento della diagnosi è una condanna, per me è stata una liberazione, perché è reale e significa anche poter ricevere una terapia. Non so se guarirò mai, ma una cosa è certa: un mostro quando lo guardi in faccia fa meno paura”.

Infine ha concluso: “Stasera sono qui, rinunciando alla mia privacy come tante altre persone e mettendo il mio dolore alla mercè di chiunque solo per chiedere a gran voce un diritto: il riconoscimento sociale, politico, medico ed economico di una malattia ancora sottovalutata ma estremamente invalidante come la vulvodinia“. Poi Giorgia ha pubblicato un post sui social: il filmato del monologo e a corredo una lunga didascalia in cui, in buona sostanza, ha ringraziato Andrea Delogu per averle dato la possibilità di esprimersi: “Se un anno e mezzo fa, quando ho iniziato a raccontare di questo incubo, mi avessero detto che sarei andata su Rai 2, probabilmente gli avrei riso in faccia. Oggi invece condivido questo post con le lacrime agli occhi, e riscopro con forza una consapevolezza che ormai ho da un po’: non ci fermeremo finché non vedremo i nostri diritti riconosciuti“.