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Ucraina, qual è il peso del gas sul possibile conflitto e perché uno stop alle forniture converrebbe solo agli Usa

Un'invasione non conviene a nessuno. Non alla Russia, per la quale rappresenterebbe un costo militare ed economico che non è in grado di sostenere. Non all'Ucraina, che sarebbe destinata, nella migliore delle ipotesi, a cedere un'altra parte di terreno alla Federazione. E nemmeno all'Europa che con Mosca intrattiene rapporti commerciali e di dipendenza energetica troppo importanti per essere messi in discussione. Converrebbe invece a Washington che da anni tenta di bloccare l'avvio del nuovo gasdotto Nord Stream 2

Un’invasione russa dell’Ucraina, in questo momento, non conviene a nessuno e quella paventata soprattutto da Stati Uniti e Gran Bretagna rischia di trasformarsi in una guerra del gas molto più che un conflitto sulla sicurezza al confine tra Nato e Russia. Non conviene a Mosca, per la quale rappresenterebbe un costo militare ed economico che non è in grado di sostenere. Non conviene all’Ucraina che sarebbe destinata, nella migliore delle ipotesi, a cedere un’altra parte di terreno alla Federazione. E non conviene nemmeno all’Europa, e quindi alla maggior parte dei Paesi Nato, che con Mosca intrattiene rapporti commerciali e di dipendenza energetica troppo importanti per essere messi in discussione. Chi invece da questa crisi vorrebbe trarre giovamento è Washington che da anni tenta di bloccare l’avvio del nuovo gasdotto Nord Stream 2 che trasporterebbe il gas di Putin direttamente in Germania, aumentando ulteriormente la dipendenza dell’Europa dai rifornimenti di Mosca e allontanando la possibilità per gli americani di vendere le enormi quantità di gas oltre oceano. Perché il loro è un gas nettamente più costoso e difficile da trasportare.

Il gas rischia così di essere sia causa che deterrente per la crisi. Non è certo l’unico aspetto che deve essere analizzato: in mezzo ci sono le pressioni della Russia per la sempre maggiore presenza militare lungo il suo fronte occidentale, oltre ai rapporti commerciali e le sanzioni nei confronti di Mosca. Ma il gas è ciò che può spostare gli equilibri. La situazione è chiara: l’Europa dipende al 40% dall’importazione dalla Russia, un gas a buon mercato, facilmente trasportabile grazie alla vicinanza territoriale, che garantisce al Vecchio Continente protezione da crisi come quelle dei Paesi nordafricani e mediorientali che mettono a rischio le forniture. L’altra faccia della medaglia è l’inevitabile dipendenza energetica dalla Federazione.

Dall’altra parte, però, ci sono gli Stati Uniti che accettano sempre meno questo legame commerciale ed energetico tra lo storico avversario e i suoi alleati europei. A radicalizzare la posizione di Washington, negli anni recenti, è arrivata la sempre maggiore disponibilità di gas naturale in mano Usa che ha reso il Paese uno dei più grandi produttori del pianeta. E questo gas gli Usa vogliono venderlo, soprattutto ai loro partner. Ecco che un conflitto con la Russia innescherebbe sanzioni e uno stop alle forniture che aprirebbe, secondo Washington, un ampio varco al gas d’oltreoceano.

Il problema è che da tale ipotetico scenario trarrebbero vantaggio solo gli Stati Uniti. La Russia sarebbe piegata sotto il giogo delle violente sanzioni straniere e di costi economici e militari al momento insostenibili per Mosca, mentre le cancellerie europee rischierebbero di perdere, in pieno inverno, non solo gli interscambi commerciali con la Russia, ma soprattutto le forniture di gas. Materia prima non rimpiazzabile con quella offerta da Washington. Quest’ultima è infatti molto più costosa e provocherebbe un ulteriore pesante rincaro del costo dell’energia che farebbe schizzare i costi per gli utenti. Inoltre, anche le forniture non sarebbero così semplici, visto che il trasferimento attraverso l’Oceano non avverrebbe ovviamente attraverso le pipeline, come succede con il gas russo, ma necessita di un processo di liquefazione e stoccaggio del gas che andrebbe trasportato a bordo di navi e poi rigassificato e redistribuito in Europa: un procedimento più lento, complicato e dispendioso. Lo dimostrano i dati forniti da Nomisma: l’Europa consuma in totale 380 miliardi di metri cubi di gas, di cui 145 miliardi arrivano dal Paese di Vladimir Putin, mentre solo 23 dagli Stati Uniti (dati 2020). Anche volendosi appoggiare ad altri fornitori extraeuropei per cercare di liberarsi dalla dipendenza da Mosca, i numeri dicono che mentre il Nord Stream 2 ha la capacità potenziale di fornire 55 miliardi di metri cubi al continente, la Tap è in grado di offrirne solo 20, mentre sono appena 8 (salvo blocchi dovuti alla crisi nel Paese) quelli provenienti dal Greenstream libico. Unico Stato che potrebbe eguagliare la quota russa è l’Algeria, ma opera già al massimo delle proprie capacità. Rimpiazzare i metri cubi garantiti da Mosca a prezzi convenienti sembra quindi impossibile per l’Europa.

È anche con questo obiettivo che gli Stati Uniti hanno deciso di inserire lo stop al Nord Stream 2 tra le sanzioni alla Russia in caso di invasione. Lo fecero anche dopo l’avvelenamento di Alexei Navalny e oggi sfruttano l’ipotesi di un’escalation militare per tornare all’attacco. La Germania, in questo caso, si trova tra due fuochi: da una parte ha il leader del blocco Nato, supportato dalla Gran Bretagna, che spinge per una posizione dura nei confronti di Mosca. Dall’altra i propri interessi economici e commerciali, essendo il Paese europeo con i maggiori interscambi con la Federazione. Dopo settimane di titubanza, al termine del vertice bilaterale con Joe Biden il cancelliere Olaf Scholz ha dichiarato che le conseguenze di un’invasione colpirebbero anche il Nord Stream 2. Ma è l’ultimo a sperare in un epilogo del genere.

Twitter: @GianniRosini