Cronaca

Veneto, manager della sanità pubblica in una voragine di debiti (privati) per investimenti immobiliari finiti male: un buco da 11 milioni

Il Tribunale di Treviso ha dichiarato aperta una procedura di liquidazione del patrimonio su richiesta presentata dall'avvocato di Carlo Bramezza, direttore generale dell’Azienda Sanitaria 7 Pedemontana: i debiti non hanno nulla a che vedere con la sua attività professionale

I debiti non hanno nulla a che vedere con la sua attività professionale di direttore generale dell’Azienda Sanitaria 7 Pedemontana, che raggruppa gli ospedali di Bassano, Asiago e Schio-Thiene. Eppure è impressionante la voragine di 11 milioni di euro provocata da investimenti immobiliari finiti male da parte di Carlo Bramezza, importante manager della sanità pubblica veneta. Prima di coprire l’incarico a Bassano (è stato nominato da Luca Zaia nel gennaio 2021) ha ricoperto quello di direttore generale nell’Ulss del Veneto Orientale a San Donà di Piave dal 2013. Laureato in giurisprudenza, ha cominciato la carriera nelle case di riposo, abita in provincia di Treviso ed è fratello di Ilaria Bramezza, già direttore generale della Regione Veneto (dal 2016 al 2020) ed attuale capo Dipartimento per le opere pubbliche, le risorse umane e strumentali del ministero delle Infrastrutture, molto attiva negli interventi di salvaguardia di Venezia dalle acque alte e le trattative per ultimare il Mose.

Il Tribunale di Treviso ha dichiarato aperta una procedura di liquidazione del patrimonio per una somma pari a 10 milioni 969 mila euro. Il giudice Clarice Di Tullio ha accolto la richiesta presentata dallo stesso Bramezza attraverso l’avvocato Marco De Rosa e nominato un liquidatore. Bramezza aveva rilasciato garanzie personali per i debiti di due società di capitali di cui era socio. Nel 2008 a favore di Banca Intermobiliare di Investimenti e Gestioni si era costituito garante fino all’importo di 5 milioni di euro, delle obbligazioni assunte per una lottizzazione di terreni per la realizzazione di complessi immobiliari. Di quella società ha fatto parte dal 2006 al 2013. Nel 2012 con la stessa banca aveva rilasciato un’ulteriore garanzia di un milione 100 mila euro, mentre a fronte di un finanziamento della Cassa di Risparmio del Veneto aveva rilasciato una fideiussione per altri 5 milioni di euro. Questi ultimi erano a garanzia dei debiti di una società che si occupava di lottizzazioni, restauri, ristrutturazione e compravendita di immobili. Le due banche avevano poi attivato esecuzioni immobiliari in seguito al dissesto delle società, ottenendo pignoramenti e l’assegnazione del quinto dello stipendio del manager pubblico.

L’avvocato di Bramezza ha presentato un piano per vendere tutte le proprietà e ha ottenuto il via libera considerando che “nel prestare le garanzie che hanno cagionato il dissesto è esente da colpa e nelle due società garantite non aveva ricoperto alcuna carica”. Potrà soddisfare solo in minima parte i creditori. Il manager ha spiegato che all’origine dei dissesti c’è stato il crollo del mercato immobiliare e l’impossibilità per i costruttori di vendere le unità immobiliari. Di qui la crisi di liquidità sfociata nel fallimento. Alle banche creditrici, Bramezza contesta di aver preteso “fidejussioni per importi esorbitanti rispetto alla capacità patrimoniale per far fronte ai debiti”. E così la procedura ha ingoiato tutto il patrimonio di Bramezza, che è stato costretto a vendere un po’ di tutto: un lampadario in vetro di Murano per 500 euro, un mobile cinese per 300, tavolini, sedie e poltrone per cifre irrisorie, un televisore per 30 euro, perfino i libri per 50 euro. Dovrà vendere (e quindi lasciare) anche la casa dove abita.