Giustizia & Impunità

Rovigo, aiuta il fidanzato 17enne a uccidere il padre con un colpo di machete: condannata a 21 anni di carcere

Secondo l'accusa la 27enne non avrebbe compiuto materialmente l'omicidio di Edis Cavazza, il 4 febbraio del 2021, ma si sarebbe procurata il machete con cui l'uomo è stato colpito oltre a "rafforzare l'intento criminoso" del ragazzo, allora minorenne

Ventuno anni di carcere. È quanto ha stabilito la Corte d’Assise del tribunale di Rovigo per Annalisa Guarnieri, prima condannata per l’omicidio di Edis Cavazza, ucciso con un colpo di machete il 4 febbraio del 2021 in una piccola area attrezzata per camper e roulotte dove viveva con la famiglia. La donna, 27enne, pur non avendo compiuto in prima persona l’atto è stata condannata per omicidio in concorso, senza l’aggravante della premeditazione. A compiere il gesto, secondo l’accusa, è stato Patrick, figlio della vittima, allora 17enne e fidanzatino di Guarnieri.

Secondo l’impianto dell’accusa formulata dal sostituto procuratore Maria Giulia Rizzo che ha coordinato le indagini della Squadra Mobile, come riporta Il Messaggero, la donna però non solo si sarebbe procurata due machete, uno utilizzato per l’omicidio e uno per minacciare la madre e i fratelli del fidanzato mentre si consumava l’atto, ma avrebbe anche “rafforzato l’intento criminoso” del ragazzo, spronandolo a reagire al padre.

La 27enne è stata anche condannata a 300mila euro di risarcimento per ciascuno dei sei parenti della vittima che si erano costituiti parte civile. Il fidanzato di Guarnieri non si trovava con lei a processo in quanto minorenne all’epoca dei fatti: per lui è in corso l’udienza preliminare con rito abbreviato al Tribunale dei minori di Venezia che ha accolto la richiesta dell’avvocato difensore di sottoporlo a una perizia per valutare maturità e capacità di intendere e di volere.

La giovane donna, riporta il Messaggero, dopo la lettura del verdetto non è riuscita a trattenere le lacrime e la difesa si è detta pronta a impugnare la sentenza e a ricorrere in appello.

Immagine d’archivio