Società

Anziani, in Lombardia centomila reclusi in casa e lontani dai servizi. Lo studio promosso dai sindacati dopo 2 anni di pandemia

C'è una bassissima propensione a cambiare residenza. Un dato questo che implica, a sua volta un basso livello di interesse per le soluzioni abitative alternative, come il co-housing. Ma anche la convivenza con le barriere architettoniche all'ingresso

Attanagliati dalla paura della soli e con una gran voglia di andare in vacanza. Sono i circa 2,3 milioni di ultra 65enni lombardi che aumentano al ritmo di 40 – 50mila all’anno. La pandemia ha inciso fortemente sulle loro condizioni di vita non solo da un punto di vista economico, ma anche sanitario, sociale, nelle relazioni, nella possibilità di ricevere aiuto, nell’uso del tempo e delle risorse che il territorio offre. C’è stata, insomma, una riduzione di orizzonte, che ha colpito tutti, ma ha inciso particolarmente su terza e quarta età, già di per sé segnate da spaesamento, sospensione e perdita di progettualità.

A fotografare il quadro è l’indagine intitolata “Più fragili dopo la tempesta? Ricerca sugli anziani in Lombardia: bisogni, desideri, risorse”, promossa da Spi Cgil Lombardia, Fnp Cisl Lombardia, Uilp Uil Lombardia che, in collaborazione con ARS – Associazione per la Ricerca Sociale di Milano hanno costituito un Osservatorio regionale sulla terza età.

Lo studio ha coinvolto oltre 1000 anziani residenti in Lombardia, di età compresa tra i 65 e gli 85 anni divisi in “giovani anziani”, sessantacinquenni/settantenni e “grandi anziani”, gli ultraottantenni. Nonostante ci siano ampie quote che vivono un relativo benessere, dallo studio emerge un 15% con problemi di non autosufficienza parziale o totale. Contando anche la fascia di popolazione che supera gli 85 anni, dove si è fermata la ricerca, si calcolano oltre 400.000 anziani lombardi con problemi di non autosufficienza. Sono soprattutto “grandi anziani”, che abitano da soli e che spesso hanno bassi livelli di istruzione.

D’altro canto c’è una bassissima propensione a cambiare residenza. Un dato questo che implica, a sua volta un basso livello di interesse per le soluzioni abitative alternative, come il co-housing. Ma anche la convivenza con le barriere architettoniche all’ingresso: un anziano su tre riporta la presenza di ostacoli, anche lievi come gradini o porte strette, che rendono difficoltoso l’accesso e la deambulazione a casa propria.

In particolare il 14% degli ultraottantenni lombardi, poi, sembra vivere un’autoreclusione domestica importante. Questo significa che oltre centomila anziani lombardi si trovano a vivere confinati in casa, con evidenti problemi nella fruizione dei necessari servizi quotidiani. La ricerca evidenzia che, forse in modo inaspettato la solitudine è percepita maggiormente dagli anziani che vivono nei piccoli centri, dove ci si aspetterebbero maggiori legami corti e di vicinato, mentre si riduce per esempio a Milano, nonostante la quota di anziani che vive da sola nel capoluogo sia maggiore della media regionale.

Il capoluogo lombardo emerge come una realtà a parte rispetto al resto della regione: gli anziani vivono più spesso in affitto che altrove, ma sembrano essere un po’ più autonomi, un po’ più capaci di arrangiarsi anche da soli grazie a relazioni, trasporti e supporti territorialmente più densi rispetto al resto della regione.

Mediamente, l’indagine ha rilevato che gli uomini escono molto di più delle donne e che vi è una grande disparità anche rispetto all’istruzione ricevuta: chi è più istruito esce di più, socializza di più, è più proiettato sul mondo esterno. Laddove l’83% degli aiuti ricevuti dagli anziani per rispondere ai loro vari bisogni, proviene da familiari, oggi di fonte ai nuovi bisogni causati dall’emergenza pandemica, i familiari sono riusciti ad offrire un’azione di supporto solo nel 49% dei casi. Insomma, la pandemia ha reso più fragile chi lo era già.