Mafie

‘Ndrangheta, il mistero dell’ultimo pentito del clan Papalia: parla per due anni coi pm. Poi ci ripensa e avvisa le persone che ha accusato

Un uomo del clan calabrese, che da oltre trent’anni si è insediato nei territori a sud ovest di Milano, ha deciso di collaborare con la Procura illustrando le dinamiche interne alla potente cosca. Lo fa per quasi due anni, mettendo nero su bianco decine di nomi. Dopodiché il pentito si pente di essersi pentito. Ci ripensa e contatta alcune di quelle persone messe nei lunghi verbali. Prova a scusarsi e spiega che la sua scelta è stata dettata da rancore nei loro confronti. Decide, almeno così spiega a persone a lui vicine, che presto andrà ad autodenunciarsi. Chi è quest'uomo? Il nome, al momento, resta coperto da un grande omissis

Dal centro di Milano seduti ai tavolini di un noto bar ricavato all’ultimo piano con vista su piazza Duomo a un capannone sperduto tra le campagne che da Buccinasco portano a Pavia. In mezzo una storia strana. Quella di un boss della ‘ndrangheta che decide di collaborare con la Procura illustrando le dinamiche interne alla potente cosca Barbaro-Papalia. Lo fa per quasi due anni. Mettendo nero su bianco decine di nomi. Tra questi anche quelli di due cugini omonimi, ormai non più giovanissimi, direttamente collegati per parentela al clan Papalia di Platì che da oltre trent’anni si è insediato nei territori a sud ovest di Milano. Dopodiché il pentito si pente di essersi pentito. Dice basta. Ci ripensa. Contatta alcune di quelle persone messe nei lunghi verbali. Prova a scusarsi. Spiega che la sua scelta è stata dettata da rancore nei loro confronti per alcune frasi ascoltate. Appare scosso e sull’orlo di una crisi. Decide, almeno così spiega a persone a lui vicine, che presto andrà ad autodenunciarsi.

Un collaboratore interno alla cosca Barbaro-Papalia di per sé è già una novità talmente inedita da terremotare gli equilibri interni. Del resto è dagli anni Novanta, dai tempi del pentito Saverio Morabito e dell’inchiesta Nord-Sud che per prima mostrò quanto fosse radicata la ‘ndrangheta a Milano, che non si aveva notizia di un collaboratore interno alla cosca. C’è sì il caso del boss Agostino Catanzariti, uno che amava chiacchierare anche di cose di cui non doveva. E chiacchiera dopo chiacchiera con cimici messe a dovere dalla Procura ha inguaiato il boss Rocco Papalia per un vecchio omicidio. Ma questa è un’altra storia.

La vicenda in questione invece si fa ancora più singolare e non solo per la presunta scelta del boss di tornare sui propri passi. Chi è dunque l’uomo che nell’ultimo anno e mezzo si è seduto davanti ai pm dell’antimafia? Il nome, al momento, resta coperto da un grande omissis. Di certo non si tratta di uno spacciatore per conto dei clan, come quelli finiti nell’operazione Quadrato del 2018, ma di un personaggio non più giovanissimo, per come risulta al Fatto, di alto spessore criminale con precedenti per associazione non direttamente imparentato con i Papalia ma certamente con uno dei tanti cognomi delle varie famiglie calabresi satelliti e che oggi si sono spostate da Buccinasco verso altri comuni, più piccoli e più controllabili.

Due anni fa circa il futuro collaboratore si trova in libertà ma in attesa che gli arrivi una pena definitiva. Vive nei comuni tra Buccinasco e Pavia. Un giorno, questa è la sua versione, viene prelevato da due uomini incappucciati. Messo su un furgone e portato in un capannone. Qui l’uomo delle ‘ndrine, a quanto spiega chi ci ha parlato nei giorni scorsi, viene pesantemente minacciato. Chi sono gli incappucciati? Uomini di clan rivali? Difficile. A mistero si aggiunge mistero. Tant’è. Il nostro viene poi lasciato andare. Per strada si ritrova la paura addosso. Anzi il terrore. Tanto da presentarsi più volte in carcere per chiedere di scontare la sua pena definitiva. Meglio dentro che fuori, avrà pensato. Qui però viene respinto perché il definitivo non è ancora stato formalizzato. Decide quindi di seguire presumibilmente le indicazioni dei due incappucciati. Inizia a parlare con i magistrati. Al momento non si capisce se la sua collaborazione è stata formalizzata.

Cosa dice? Di sicuro molto, ma cosa di preciso al momento non risulta. Di certo fa due nomi di peso: quello di uno stretto parente di un noto boss di Corsico che negli anni Ottanta è stato il referente della ‘ndrangheta di Platì per tutto il nord-Italia. E quello del cugino omonimo. E se quest’ultimo, che non sarà mai indagato né arrestato per associazione mafiosa, risulta avere piccoli precedenti nel settore degli stupefacenti, il parente del boss, pur tratteggiato nelle informative giudiziarie come l’erede designato della cosca, mostra una fedina penale immacolata. Visto che l’unico processo, scaturito da un’inchiesta milanese di metà anni 2000, che lo vedeva imputato per mafia lo ha definitivamente scagionato molti anni fa. Da quel momento in poi è scomparso completamente dai radar delle indagini non solo di Milano.