Politica

L’Italia, distratta dal voto per il Colle, continua a precipitare nella sua dissoluzione economica

Mentre i politici e l’immaginario collettivo sono giustamente distratti dalla elezione del Presidente della Repubblica, l’obiettivo neoliberista di distruggere totalmente l’economia italiana avanza sempre più rapidamente.

Apprendo che il governo Draghi ha inserito nel decreto fisco la possibilità di pareggiare i conti pubblici con i derivati, cioè con delle pure scommesse, la cui perdita, data sempre al 50%, finisce, come è ovvio, sulle spalle di tutti i cittadini, nelle sue varie articolazioni.

Inoltre compare sempre nel dl concorrenza anche l’assurdo obbligo dei Comuni di dare in concessione i servizi pubblici locali, e, nel caso si ritenga di gestirli direttamente, si sancisce l’obbligo dei Comuni stessi a spiegare, con apposita relazione, per quali motivi non si è proceduto alla concessione a terzi.

Due scelte profondamente incostituzionali: la prima, in netta violazione dell’articolo 41 Cost., secondo il quale l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, la libertà, la sicurezza e la dignità umana. Ed è chiaro che esporre, per legge, la popolazione a pagare i debiti di gioco (i derivati, si ripete, sono scommesse) è una violazione palese di questo principio precettivo e imperativo.

D’altro canto obbligare i Comuni a dare in concessione i servizi pubblici locali, che nel 1903 il governo Giolitti, saggiamente, aveva municipalizzato, viola apertamente il demanio costituzionale, cioè l’appartenenza dei servizi pubblici alla proprietà pubblica del Popolo italiano nelle sue varie articolazioni, come si evince chiaramente dall’articolo 43 della Costituzione.

Questo processo contrario agli interessi italiani prosegue con l’annunciata svendita di ITA Airwais a Lufthansa, una svendita precostituita, essendosi conferite ad ITA tutte quelle caratteristiche che Lufthansa chiedeva per l’acquisto.

E non è tutto, prosegue l’agonia delle telecomunicazioni, e in particolare di Telecom, costituita nel 1994, come una S.p.A. di proprietà dell’IRI, già privatizzata nel 1992 dal governo Amato, e ciò nonostante, in quanto comunque S.p.A. appartenente allo Stato, essa aveva raggiunto una posizione economica di altissimo livello.

E fu proprio per questo che, per fare cassa, Romano Prodi, nel 1997, proprio nell’anno della maggiore espansione economica di detta impresa, ritenne assurdamente di venderla sul mercato azionario per la modica cifra di 14 miliardi di euro.

Ora, come sottolineato oggi sul Corriere della Sera da Milena Gabanelli: “Lanciata come ‘la madre di tutte le privatizzazioni’… ha trovato imprenditori rapaci che l’hanno uccisa per fare soldi. Caricata di debiti non è più riuscita ad investire nella modernizzazione della rete. Nessuno Stato permette che venga compiuto un simile scempio su un asset così strategico!…”.

E la considerazione più amara è che tra i nomi proposti come Presidente della Repubblica ci sono quelli che maggiormente hanno danneggiato l’Italia con le privatizzazioni e le svendite, senza tenere in alcun conto gli interessi del Popolo italiano e quanto dispone la Costituzione per la tutela della proprietà pubblica demaniale del Popolo e per l’osservanza dei limiti posti all’iniziativa economica privata, specie quando i beni finiscono in mano straniera.