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J-Ax racconta i casi di cronaca con “Non aprite quella Podcast”: segui la diretta Facebook con Claudia Rossi e Andrea Conti

“Non aprite quella Podcast” va a scavare nel surreale che si cela dentro i casi scelti senza mai mancare di rispetto alle vittime. Sette inquietanti, serial killer dimenticati, casi di malagiustizia e rapimenti alieni. Tutti avvenimenti ripercorsi con un punto di vista originale rispetto al classico podcast di cronaca nera

JAx non si ferma mai. Il cantautore e produttore milanese con la sua officina creativa Willy L’Orbo crea e produce la prima stagione di “Non aprite quella Podcast” (LINK), una serie originale Spotify, co-prodotta da Spotify Studios, di 10 episodi. Tre amici seduti intorno ad un tavolo, affrontano casi di cronaca realmente accaduti e li analizzano attraverso la lente di ingrandimento con ironia intelligente. JAx presenterà il suo nuovo progetto in diretta Facebook FqMagazine.it e YouTube de Il Fatto Quotidiano giovedì 20 gennaio alle ore 15 con Claudia Rossi e Andrea Conti.

Non aprite quella Podcast” va a scavare nel surreale che si cela dentro i casi scelti senza mai mancare di rispetto alle vittime. Sette inquietanti, serial killer dimenticati, casi di malagiustizia e rapimenti alieni. Tutti avvenimenti ripercorsi con un punto di vista originale rispetto al classico podcast di cronaca nera. Nel primo episodio e secondo episodio (on air giovedì 20 e giovedì 27 gennaio), Ax, Pedar e Lenardon ci riportano indietro di 30 anni, nella Bologna dei primi Anni 90 dove esplode il caso de “I bambini di Satana”, setta fondata da Marco Dimitri (arrestato nel 1996). Il fondatore, Marco Dimitri, fu ospite del “Maurizio Costanzo Show” nel 1993 prima di essere incarcerato nel 1996. La magistratura locale è sicura di avere per le mani un caso che stravolgerà la storia italiana: una setta satanica capace di commettere ogni genere di efferatezza. Una vicenda che si scoprirà poi essere tutta una grande montatura: Dimitri per 400 giorni di carcerazione ingiusta, ha ricevuto un risarcimento dalla Corte d’Appello di Bologna di 100mila euro.